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Giuseppe Conte e Travaglio stilano le liste di proscrizione Pd

Pietro De Leo
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Eccolo qui, il nuovo derby a sinistra, la caccia al cacicco, fronte moralista del braccio di ferro tra 5 Stelle e Pd, o meglio, tra Giuseppe Conte e Elly Schlein. Il primo, ormai è chiaro, non riconosce alcuna primazia alla seconda sull’area e la trascina sul piano a lui più congeniale, ovvero la questione morale che, tra interlocutori di impronta così ideologica, si fa maledettamente politica. D’altronde, la legge dell’archivio non mente. E dunque s’ha gioco facile nel rintracciare quel che disse Elly Schlein, nella prima assemblea della sua gestione: «Abbiamo dei mali da estirpare, non vogliamo più vedere capibastone e cacicchi vari». Era, quello, il primo giorno della “fase 2”, ovvero prendere le misure con una struttura-partito che durante la fase congressuale in misura maggiore non l’aveva votata. Dunque sabato Conte ha fatto copia-incolla, di quell’intendimento: «Se lei volesse mantener fede all’impegno preso a marzo 2023 quando fu acclamata segretario del Pd al grido di “libererò il partito democratico da capibastone e cacicchi”, lei troverebbe in me il più grande partner».

I NOMI
Ed ecco che, per singolare quanto puntuale coincidenza, la lista degli ipotetici cacicchi compare sul Fatto Quotidiano di ieri. Due intense pagine con tanto di foto, brevi indicazioni sugli eventuali reticolati di potere. Chissà, magari una lista di proscrizione tentando di interpretare il pensiero contiano. La disamina elaborata dal quotidiano diretto da Marco Travaglio è molto fitta. Non può mancare Vincenzo De Luca, il presidente della Campania con cui però la stessa Elly Schlein ha sin da subito instaurato un braccio di ferro, facendo sponda con la maggioranza (esclusa la Lega) per bloccare il terzo mandato dei governatori regionali. E c’è, ovviamente, Michele Emiliano, in questi giorni nella tormenta politica per via della mannaia giudiziaria che si è abbattuta sul centrosinistra di Bari e della Puglia. «Michele Emiliano, pur immacolato dal punto di vista giudiziario, ha gestito il potere senza alcuna selezione all’ingresso», si legge. Un potenziale c’eravamo tanto amati considerando che Emiliano, anche per via del suo piglio ribellista di sfumatura meridionale, è stato sempre un auspice dell’alleanza tra Pd e Conte e sostenitore del reddito di cittadinanza.

 


La panoramica, poi prosegue, da Sud a Nord. E allora il Fatto mette all’indice Vladimiro “Mirello” Crisafulli, il cui potere è «immortale» ed è stato «per anni dominus dem nella provincia di Enna e non solo». E ancora, sempre in Sicilia, «alla sesta legislatura all’Ars c’è Antonello Caracolici: uomo di mondo, si è più volte espresso a favore del ponte sullo stretto». Evidentemente, il sostenere l’infrastruttura deve essere un’aggravante del cacicchismo, tanto che viene contestata anche al calabrese Giuseppe Falcomatà, «sindaco di Reggio anche lui tra i fan del Ponte». Su Roma e il Lazio, poi, il quotidiano si sbizzarrisce. Nella Capitale, leggiamo, «fa carriera Claudio Mancini, al secondo mandato alla Camera, mentre è passata senza conseguenze la folle scenata di Albino Ruberti, ex capo di gabinetto di Roberto Gualtieri ripreso due anni fa mentre minacciava di sparare al fratello di Francesco De Angelis, a sua volta in odore di candidatura con i dem alle Europee. Ruberti continua a collezionare incarichi».

 


DA SUD A NORD
In Abruzzo, poi dito puntato su Luciano D’Alfonso: «Ex governatore, vuole fare il sindaco di Pescara». Andando al Nord, poi, arriva l’altro punto dolente del diario giudiziario del Pd, il Piemonte, «con le inchieste di questi giorni che raccontano le manovre del “ras” Salvatore Gallo, capace di piazzare consiglieri a piacimento». E prosegue, il Fatto: «A Torino il Pd esprime il sindaco Stefano Lo Russo, ma il vero riferimento da sempre è Piero Fassino». Di quest’ultimo furono noti i suoi corpo a corpo con i 5 Stelle quando ancora l’alleanza con il Pd non aveva preso il via. Insomma, eccola la lista, con tanto di foto, dei cattivi. Il clima, quindi, è questo qua. E sospira Walter Veltroni, che fu primo segretario Pd, parlando a in Mezz’ora su Rai 3 di campo largo: «Se questo fiore appassisce o sfiorisce e non è in grado di esprimere quella meravigliosa avventura democratica che è il riformismo, se questo fiore si connota di populismo» allora «perde la sua identità». E ancora: «Ciò che conta per i cittadini non è la dimensione del campo ma la bellezza del fiore politico, programmatico, culturale, valoriale che si è capaci di generare».
Al momento, però, sono solo spine.

 

 

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