Nel caos

Pd, timori in Puglia: tam-tam in Procura, altre inchieste in arrivo

Pietro Senaldi

Oggi Vito Leccese, il candidato del Pd al Comune di Bari, già capo di gabinetto per vent’anni dei sindaci Emiliano e Decaro, concluderà gli incontri interni al suo partito per vedere se si riesce a rendere ancora più tragicomica la situazione. Si ricorda che il suddetto avrebbe dovuto sfidare alle primarie della sinistra Michele Laforgia, indipendente, esponente della società civile con la sua Associazione “La giusta causa”, sul quale Giuseppe Conte ha fatto convergere il sostegno dei grillini. Poi a complicare il quadro sono arrivate le tre ondate di arresti e rinvii a giudizio per i voti di scambio in Consiglio comunale e regionale, che hanno portato M5S a chiedere a Elly Schlein di far convergere il voto sul nome di Laforgia.

Tra i due pretendenti si è provato a trovare un terzo nome, da pescare nell’area della magistratura, per dare meglio l’idea di un repulisti morale e legale. Il suggerimento è arrivato dai due Nicola della sinistra, Vendola e Fratoianni, ed è il classico esempio di come le buone intenzioni possono portare a risultati disastrosi. Nella difficoltà di precettare Gianrico Carofiglio, ex pm d’assalto barese, simbolo dell’etica sinistra e oggi scrittore di grande successo che sembra avere molto di meglio da fare, i dem si sarebbero orientati su Nicola Colaianni, deputato del Pds trent’anni fa e giudice di Cassazione in pensione. Per carità, brava persona, ma è un ottuagenario fuori dal giro da parecchio. Non esattamente l’uomo più indicato per aprire un nuovo ciclo, visto che la diarchia Emiliano-Decaro pare al capolinea.

 

 

QUADRA DA TROVARE - L’impressione è che anche l’ipotesi Colaianni sia già prossima a finire nel cestino. Laforgia infatti tiene duro. La sua corsa è partita a settembre. Trattasi di un avvocato con quattro quarti di sangue sinistro, visto che è figlio di Pietro Leonida, storico sindaco di Bari, socialista di sinistra oggi ricordato da tutti come un comunista, del quale sogna di ricalcare le orme, a compimento di una vita professionale di successo, ed è stato pure tesserato del Pdup (Partito di Unità Proletaria per il Comunismo).

In settimana si dovrà confrontare con Leccese per trovare una quadra. Probabilmente l’incontro avverrà dopo martedì, visto che in quel giorno Laforgia è impegnato a difendere il professor Luciano Canfora, altro barese d’alto rango, dall’accusa di diffamazione per aver dato in pubblico della neonazista nell’animo a Giorgia Meloni. Questo per far capire la caratura cittadina dei personaggi. Idem a Bari si sono complicati la vita da soli non poco. Decaro è stato a lungo rivenduto mediaticamente come l’esempio del Pd di buon governo e così il partito si era illuso di poter passare il testimone al suo capo di gabinetto, con una transizione morbida e indolore.

Elly e i suoi referenti pugliesi erano convinti di spesare Laforgia alle primarie e volare verso il successo. Poi sono scoppiate le inchieste, che non hanno lambito Leccese ma hanno messo sotto accusa il sistema e l’ambiente nel quale il candidato si è mosso per decenni. La Schlein, mal consigliata, non ha avuto la forza né la prontezza di scaricarlo subito e si è trovata così a inseguire Conte. Sostenere Laforgia sarebbe la cosa più naturale, ma il Pd la vivrebbe come un atto di sottomissione nei confronti di M5S, benché il penalista barese non sia grillino.

 

 

Meglio una ridicola agonia piuttosto che dar ragione all’alleato pentastellato. Da qui prima la resistenza su Leccese, poco compatibile con le dichiarazioni della segretaria di voler cambiare il sistema di corruttela politica in città e regione, e poi la strampalata idea di cercare un terzo uomo, chicchessia purché in toga. I baresi sono attoniti. Schlein accusa Conte di spaccare il fronte delle sinistre e regalare la città alla destra, ma si ostina a non convergere sul solo candidato del presunto campo largo rimasto in lizza.

La sensazione diffusa è che la Procura non abbia ancora finito il suo lavoro. Per ora abbiamo circa duecento indagati e una dozzina di arresti, ma tutti scommettono che non è finita qui. Insospettisce la tempistica, arresti a goccia, quasi a voler impedire di trovare una soluzione, tirando una riga e andando a capo. In questa situazione, un esterno al sistema Emiliano-Decaro parrebbe una scelta obbligata, ma i dem faticano a prenderla. Sarebbe un’onta autoimposta, un’ammissione di inadeguatezza, come se il partito della questione morale finisse fatto fuori dalla città propria a causa di guai giudiziari.

ORDINANZE SCOMODE - Ci si chiede perché provvedimenti gravi come arresti e rinvii a giudizio chiesti dalla Procura anche più di un anno fa siano stati eseguiti con tanto ritardo e proprio sotto elezioni. Giustizia a orologeria? Forse, ma nel senso inverso. I giudici si sono trovati costretti ad agire per evitare che, magari il prossimo settembre, un Consiglio comunale appena eletto si trovasse di fatto abbattuto per via processuale. Ma i maligni sostengono anche altro. Per esempio che qualcuno rallenti il lavoro, non autorizzando intercettazioni richieste dagli inquirenti, facendo melina su ordinanze scomode e ritardando i tempi. Una sorta di burocrazia ostativa che non è riuscita a fermare tutto ma a causa della quale ancora non si sa tutto. Al momento si tratta solo di sfoghi in camera caritatis.