Il leader pentastellato Giuseppe Conte torna a tuonare contro il Ponte sullo Stretto e contro chi usa il “no” della Corte dei Conti per attaccare i giudici. La difesa dei giudici contabili da parte dell’ex premier ha un qualcosa di “commovente”, che assomiglia molto a un buon motivo per attaccare il governo. Ad ogni modo Conte ha spiegato che «non si può governare con la retorica, dire che in questo momento il governo è assolutamente per i sì, mentre invece la magistratura è per i no. È completamente sbagliato perché la Corte dei conti esprime solo un visto di legittimità che è previsto dalla Costituzione. Quindi una presidente del Consiglio che dichiara in tv che c’è una invasione della giurisdizione vuol dire che non conosce l’abc, che non sa neppure di che cosa stia parlando».
Prosegue l’ex premier: «Il visto di legittimità è dovuto, la Corte dei conti fa il suo dovere. I magistrati contabili stanno spiegando al governo guardate che questo progetto è fallace, questo progetto è carente sul piano dei rischi ambientali, sismici, sul piano della copertura della spesa, sul piano del rispetto delle procedure. Quindi il governo dovrebbe dire grazie Corte dei conti, abbiamo evidentemente frettolosamente operato, adesso ci facciamo una riflessione anche alla Commissione europea che ha segnalato già tante criticità». Un’interpretazione che, se trovasse riscontro nelle motivazioni della Corte, sarebbe piuttosto curiosa, visto che per loro stessa natura i giudici contabili non devono esprimersi sulla parte politica (ambiente, progettazione, ecc), ma solo sulle questioni economico finanziarie.
A Conte replica l’esponente di Fratelli d’Italia Lino Ricchiuti: «Il parere negativo della Corte dei Conti sul Ponte sullo Stretto non è una valutazione tecnica: è una scelta politica mascherata da formalità. Lo dimostrano le posizioni pubbliche di alcuni magistrati contabili, come Marcello Degni, che ha definito il Ponte «una minchiata», l’attuale Governo «fascista» e ha persino scritto che bisognava «farli sbavare di rabbia» riferendosi sempre al governo Meloni. Non è chiaro se Degni abbia partecipato direttamente alla stesura del parere, ma le sue parole rivelano un clima ideologico che mina la credibilità dell’organo. Quando chi dovrebbe garantire imparzialità - chiude Ricchiuti - si esprime con toni da attivista, è legittimo chiedersi quanto il giudizio sia davvero tecnico. Eppure, gli stessi ambienti tacevano quando si spendevano miliardi in Superbonus, bonus a pioggia e misure spot. Nessuno parlava di «minchiate». Nessuno «sbavava di rabbia».