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Gli arraffoni contro il ministro

Tra ridurre i finanziamenti al cinema e tagliare i fondi per la tutela dei monumenti e del patrimonio archeologico, Alessandro Giuli ha scelto la prima strada. La più sensata
di Fausto Carioti mercoledì 12 novembre 2025

3' di lettura

Tra ridurre i finanziamenti al cinema e tagliare i fondi per la tutela dei monumenti e del patrimonio archeologico, Alessandro Giuli ha scelto la prima strada. La più sensata, come ha confermato il crollo della Torre dei Conti a Roma. Lo spiegò lo stesso ministro un mese fa, quando il governo annunciò l’aumento dei fondi per la sanità e i tagli Irpef: «È una manovra dall’alto contenuto sociale e noi diamo sangue volentieri, quindi ben vengano tagli quando si tratta di investire in infermieri, in rinnovi dei contratti per i ceti meno abbienti». A differenza di torri, mosaici e capitelli, però, l’industria cinematografica è un bacino di consenso e voti per la sinistra. A guidare la protesta provvede Repubblica, che lancia l’allarme sostenendo l’obiettivo di Giuli non è contribuire alla manovra evitando che a pagarne il prezzo sia il patrimonio culturale nazionale, ma «colpire il mondo del cinema, reo d’essere pregiudizialmente ostile al governo».

Secondo il quotidiano romano, una mail inviata il 17 ottobre dal ministero della Cultura a quello dell’Economia dimostrerebbe che «i tagli inizialmente proposti dal ministero della Cultura per ottemperare alla spending review imposta dal Tesoro erano ben più ampi rispetto a quelli scritti in manovra». Giuli, insomma, avrebbe chiesto «più tagli al cinema» per “punire” l’industria dell’audiovisivo. L’opposizione si accoda: il Pd accusa il successore di Gennaro Sangiuliano di voler «demolire una filiera industriale», Avs sostiene che «non si era mai visto un ministro che chiede più tagli di quanti ne venissero imposti dal ministro dell’Economia». Una menzogna, replicano da via del Collegio Romano. Spiegano che «la ricostruzione di Repubblica è tendenziosa e manipolatoria» perché «dà una lettura falsa di una mail nella quale il ministero prendeva atto di una serie di tagli subiti e rispetto ai quali il ministero stesso aveva chiesto la possibilità di spalmarli nel triennio». Dinanzi a questo «vero e proprio ribaltamento della realtà», il dicastero di Giuli annuncia che intende «tutelarsi nelle sedi opportune».

La Ragioneria generale dello Stato aveva presentato una lista di riduzioni di spesa, elaborate da un algoritmo, che colpiva soprattutto la tutela del patrimonio artistico e archeologico. Sarebbero stati decurtati i finanziamenti per il “Piano strategico grandi progetti Beni culturali”: quelli che consentono il restauro della chiesa di paese, la costruzione o l’ampliamento del museo in cui collocare le testimonianze artistiche del luogo, il recupero del castello che potrebbe attrarre turisti, ma è chiuso da anni in attesa di ristrutturazione. Sarebbero stati tagliati i fondi per la rimozione delle barriere architettoniche. Il ministero della Cultura ha risposto proponendo di destinare quelle forbiciate al settore dell’audiovisivo, che continua a ricevere dai contribuenti molti più soldi di quanti ne ottenesse prima della pandemia. Dai 514 milioni di euro del 2019, infatti, è arrivato a prendere 1,6 miliardi nel 2022, tra Fondo Cinema, Fondi Covid, crediti d’imposta e altre voci, e nel 2025 otterrà 696 milioni. Che il grasso da tagliare sia tanto lo dimostrano anche gli abusi resi possibili dal sistema del “tax credit”, che da solo vale il 60% del Fondo Cinema: ci sono pellicole che hanno ottenuto milioni di euro di denaro pubblico a fronte di incassi in sala pari a poche migliaia – talvolta centinaia – di euro.

La proposta del ministero di Giuli contestata dalla sinistra, peraltro, prevedeva di tagliare i fondi al cinema gradualmente nell’arco di tre anni, per mitigarne l’impatto, e di mantenere il generoso regime dei crediti d’imposta internazionali, utili per evitare che le grandi produzioni possano ripensare l’investimento italiano, e per attrarne di nuove. A conti fatti garantisce al settore un finanziamento annuale di 550 milioni, più dei 514 che incassava prima della pandemia. Ma chi si è abituato a ricevere quei soldi vuole trasformare i finanziamenti eccezionali ricevuti durante il Covid nella nuova normalità. E il ministro che non si presta al gioco è un nemico della cultura.

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