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Landini dimentica il ruolo del sindacato

Di qui al 12 dicembre Landini segretario della Cgil sarà sempre al centro della scena avendo dichiarato lo sciopero generale contro il governo Meloni
di Fabrizio Cicchitto mercoledì 12 novembre 2025

3' di lettura

Di qui al 12 dicembre Landini segretario della Cgil sarà sempre al centro della scena avendo dichiarato lo sciopero generale contro il governo Meloni. Sarà un protagonista politico, fortemente concorrenziale con i segretari dei partiti di opposizione, specie il Pd, avendo puntato su uno slogan, quello della rivolta sociale, che evoca un personaggio appartenente alla ideologia più estrema della cultura della sinistra (in alcuni momenti anche di destra), vale a dire Georges Sorel, autore di una indimenticabile riflessione sulla violenza. Nel passato mai la Cgil si è espressa in questi termini, tanto meno quando era diretta da leader il cui punto di riferimento era il Pci: ci riferiamo a Di Vittorio, Novella, Lama, Trentin, per non parlare poi dei segretari socialisti come Fernando Santi, Brodolini, e Piero Boni.

Per cavalcare lo slogan della rivolta sociale, Landini segue una metodologia assai significativa: così per un verso finora la Cgil non ha firmato nessun contratto di settore, in primo luogo quello del settore pubblico. In secondo luogo, nella precedente tornata di manifestazioni, la Cgil ha cavalcato un tema internazionale, quello di Gaza, e così ha fornito ai gruppi palestinesi e pro-Pal più estremisti l’occasione di intraprendere scontri frontali con le forze dell’ordine (vedi Torino, Roma, Bologna e centri minori), ricercando in modo evidente conseguenze drammatiche (per dirla chiaramente il morto e qualche ferito grave), in modo da “incendiare la prateria”. Ciò è stato evitato perché l’attuale ministro degli Interni Piantedosi ha un livello elevato di professionalità e perché le forze dell’ordine hanno avuto un comportamento di grande intelligenza a prezzo di qualche centinaio di feriti che però non provoca nessuna reazione in quella che dovrebbe essere la sinistra di governo. Dulcis in fundo, insistendo con questa linea, Landini è anche andato incontro ad un’ultima rottura, quella dell’unità sindacale. Spesso i telegiornali parlano di sciopero dei sindacati al plurale, ma devono passare per completezza di informazione al singolare. Da un paio d’anni la Cgil ha rotto con la Cisl, ma da alcuni mesi, per intenderci dai tempi di Gaza, la separazione è avvenuta anche con la Uil.

Ma la singolarità della segreteria Landini riguarda un aspetto decisivo della strategia sindacale. Non vogliamo entrare nel merito della discussione in corso su alcuni aspetti decisivi della manovra economica specie quelli riguardanti le tasse, la patrimoniale, gli slogan sui ricchi e i poveri. Per quello che ci riguarda, riteniamo del tutto ragionevoli le osservazioni fatte da esperti di orientamento riformista, non collocati in una posizione di sostegno al governo Meloni, ci riferiamo a Cottarelli e a Giuliano Cazzola, uno dei maggiori esperti del sistema pensionistico. A nostro avviso, malgrado il sostegno ai salari bassi fatto nelle precedenti finanziarie - mentre questa volta c’è stato un sostegno al cosiddetto ceto medio- la questione degli stipendi degli operai rimane aperto. Però un tema di questo tipo non può essere rinviato al governo puntando sul salario minimo, con ricadute sul deficit che in Italia presenta la situazione ben nota. Riguarda invece il rapporto tra sindacato e imprenditori. Dal punto di vista della strategia sindacale la questione si chiama contrattazione articolata, messa in atto fabbrica per fabbrica dai sindacati di categoria. Vertenze aziendali eventualmente facendo scioperi, non per Gaza, ma per rivendicazioni salariali nelle fabbriche i cui livelli di produttività danno margini di profitto, parte dei quali, possono essere destinati ad aumenti salariali. Questo fino a Landini è stato uno dei compiti del sindacato con una ricca elaborazione che ha visto per protagonisti personaggi significativi quali Pier Carniti, Pio Galli, Piero Boni e nel settore dei chimici, quand’era un riformista, Sergio Cofferati. Si tratta di un pezzo della storia del sindacato che si è svolta davanti alle fabbriche e non sulle pagine di Repubblica.

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