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Eugenia Roccella: "La sinistra ci attacca perché è la destra che difende le donne"

di Fausto Carioti martedì 2 dicembre 2025

5' di lettura

Nei giorni scorsi, parlando degli omicidi delle donne per mano degli uomini, Eugenia Roccella ha invitato a guardare il fenomeno pure dal lato opposto: «Ogni donna che viene uccisa è troppo, ma bisogna anche fare l’inverso: ogni donna che non viene uccisa è un fatto positivo». In molti l’hanno letta così: secondo Roccella, le donne dovrebbero ringraziare di essere vive. Da allora, sul web, le accuse nei suoi confronti non si contano.

Ministro, cosa voleva dire con quella frase?
«Come sa chiunque abbia ascoltato l’intervento o anche letto le agenzie di stampa, stavo parlando dei numeri forniti dal Viminale sui primi nove mesi di quest’anno, che rispetto allo stesso periodo del 2024 vedono un calo dell’8 per cento delle donne uccise dal partner o dall’ex partner e un calo del 24 per cento delle donne vittime di delitti in ambito familiare e affettivo. Dobbiamo attaccare il governo per questi risultati?».

Lei è soddisfatta?
«È chiaro che il nostro obiettivo ideale è arrivare a zero femminicidi, ma il fatto che gli strumenti che abbiamo messo in campo abbiano avuto i primi effetti positivi è incoraggiante, significa che siamo sulla strada giusta. Non mi sembra un concetto difficile da comprendere e da condividere: ogni donna uccisa è una vittima di troppo, ma ogni donna che viveva una situazione di rischio e invece è riuscita a uscire dalla violenza è una vita salvata e un passo avanti in questa battaglia».

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Meriti che l’opposizione, in parlamento e nelle piazze, non vi riconosce.
«Il nostro è l’esecutivo che contro la violenza ha prodotto più interventi legislativi, finanziari, di prevenzione e di sensibilizzazione. Abbiamo promosso due leggi di governo, una delle quali, quella sul reato di femminicidio, ha una portata storica. L’Osce ci ha invitato a organizzare una conferenza internazionale e in quella sede la relatrice Onu contro la violenza sulle donne ha indicato l’Italia come esempio per molte altre nazioni».

E allora perché vi attaccano?
«Sembrerà assurdo, ma proprio per ciò che ho appena detto. La sinistra fatica ad ammettere che il governo Meloni stia combattendo la violenza con tanta decisione, tra l’altro cercando sempre l’unanimità. Un obiettivo raggiunto a volte faticosamente, attraverso emendamenti, discussioni, confronti anche serrati».

Se destra e sinistra non si mettono d’accordo per difendere le vittime, quando devono farlo?
«Eppure l’unanimità non è un risultato scontato. Basti ricordare che il primo provvedimento per il “codice rosso”, nella passata legislatura, non ebbe il voto favorevole del Pd.
E invece promuovere l’unità trasversale contro la violenza sulle donne è una volontà precisa di questo governo, anche se non sempre la nostra mano tesa viene apprezzata dall’opposizione».

Le sue parole hanno dato ai vostri avversari l’occasione per ribadire un concetto antico: la destra non è in grado di rappresentare le donne, solo la sinistra può farlo. La destra è antropologicamente maschilista?
«Guardi, io vengo da una storia di militanza femminista negli anni Settanta. Più di vent’anni fa, in un libro, scrissi che in entrambi gli schieramenti c’era un deficit di consapevolezza: “La destra potrebbe con più facilità rappresentare i bisogni e le aspirazioni delle donne, ma non lo sa; la sinistra è sempre meno in grado di rappresentarli, ma non lo sa”».

Vale ancora oggi?
«Oggi per la sinistra è più vero di allora, mentre la destra è diventata più consapevole. Anche nel recente passato, quasi tutte le più importanti leggi contro la violenza sulle donne sono state promosse da esponenti di centrodestra, come Giulia Bongiorno o Mara Carfagna. E, guardando al fondo delle cose, non è un caso che la prima premier donna sia una militante di destra che si è costruita da sola».

Vi accusano anche di ritenere sostanzialmente inutile l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Ce ne fosse di più, dicono a sinistra, ci sarebbero meno “femminicidi” e meno stupri. Le violenze sulle donne, insomma, sarebbero anche colpa vostra, perché sottovalutate questo aspetto.
«Noi siamo apertissimi a qualsiasi discussione, ma si deve dire con chiarezza qual è l’oggetto del dibattito. Se la sinistra vuole l’educazione sessuale nelle scuole semplicemente perché è un suo obiettivo storico, confrontiamoci su questo. Se invece si insiste a dire che l’educazione sessuale serve a ridurre i femminicidi, allora bisogna dimostrare che si tratta di uno strumento efficace. Bisogna fornire prove, esempi, numeri e solide correlazioni. Non basta ripetere affermazioni ideologiche».

Quali sono allora le cause, le correlazioni su cui bisogna agire?
«A me sembra che l’unica correlazione evidente sia quella tra la solitudine delle famiglie, l’impoverimento delle reti parentali e della capacità educativa genitoriale, e l’aumento del disagio minorile».

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È questo che ha pensato quando ha letto della «lista stupri» sui muri del liceo Giulio Cesare?
«Ho pensato che è assolutamente indispensabile ricostruire una comunità educante a partire dalla famiglia, in alleanza con la scuola, integrando e non separando i diversi ruoli. C’è bisogno di educazione al rispetto, e infatti il ministro Valditara l’ha introdotta nelle attività scolastiche, ma c’è bisogno anche di educazione tout court. La famiglia, come ci ripetono psicopedagogisti e pediatri, è il luogo insostituibile in cui ognuno di noi, nei primi anni di vita, struttura la propria personalità. I genitori vanno sostenuti e aiutati, non accantonati e messi ai margini».

Intanto, in Senato, avete fermato il disegno di legge sul «consenso libero e attuale» nei rapporti sessuali. Lei stessa è apparsa favorevole a un approfondimento, che è il preludio di una riscrittura. Pensa che la nuova norma, così come è scritta, apra le porte all’inversione della prova?
«Sul consenso il governo e la maggioranza hanno dimostrato ancora una volta apertura e volontà di collaborare. La formulazione su cui ci si era attestati riprendeva un principio già introdotto da tempo, attraverso la giurisprudenza della Cassazione. Ma se Giulia Bongiorno, che oltre a essere una giurista di grande competenza è sempre stata dalla parte delle donne, vuole migliorare la norma, anche alla luce di perplessità sollevate in alcuni ambienti giuridici, non vedo perché la sinistra debba protestare».

Protestano perché dicono non volete più approvare quella legge.
«Anche la legge sul femminicidio non ha avuto un iter fulmineo, però si è fatta. Parlano tanto delle prerogative del parlamento, e ora che il Senato vuole esaminare un testo di legge con più attenzione queste prerogative non valgono più?».

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