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Ma lui: "Le inchieste non mi fanno paura"

Il premier alla festa dei giovani del Pdl: "Nessuno mi può ricattare. Nel 2013 deciderò se ricandidarmi. Al mio posto in futuro vorrei Alfano"

Andrea Tempestini
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«Presidente, presidente.... e le intercettazioni?». Silvio Berlusconi, si ferma, prende fiato, come se dovesse prendere la mira, e “spara” il colpo: «Nessuno mi può ricattare, nessuno». E poi assicura di non aver consigliato a Lavitola di non rientrare in Italia. Detto ciò ripone la faccia tirata, rispolvera il suo sorriso vincente e via di nuovo a salutare i giovani di Atreju, guadagnando l'uscita. Sono passate da poco le venti di un venerdì non comune, carico di tensioni e fibrillazioni, attorno alle quali si avvita il dibattito politico, ma dal quale il premier sceglie di restare fuori. «Che dici, evitiamo di parlare del caso Bce, così accorciamo i tempi...», gli suggerisce Giorgia Meloni, ministro della Gioventù nonché padrona di casa. Invito che il premier accoglie subito: «Ma sì, evitiamo che è meglio», dice mentre indossa la giacca blu sulla divisa casual, pantalone e camicia blu. È vero, Berlusconi arriva in ritardo, ma lo scarto di lato appare quanto mai tattico, vista la giornata. Nel frattempo la platea dei giovani del Pdl, per la verità non stracolma come gli altri anni, accoglie il capo del governo con un lungo applauso, in  sottofondo la Cavalcata delle Valchirie. A fare da apripista la deputata Annagrazia Calabria, che va decisamente “lunga” nel suo intervento. «Grazie presidente per averci salvato dal comunismo», dice la deputata azzurra. Arrivando sul palco il premier rischia quasi di cadere inciampando. Scampato il pericolo, abbraccia con forza la Meloni. Ora lo show può iniziare. Ma se dalla festa di Atreju la guerra dei bond resta fuori, volutamente, entra tutto il resto. Il futuro, consegnato a Gianni Letta e Angelino Alfano (al Quirinale il primo, a Palazzo Chigi il secondo) al termine del mandato, cioè nel 2013. L'affossamento del governo tecnico. La difesa della manovra economica e la convinzione che la riforma delle pensioni sia «sacrosanta», tanto da aver convinto la Lega a compiere il primo passo in nome del «do ut des» su cui si basa l'alleanza. Insomma, Berlusconi, nonostante il senso «d'impotenza», tratteggia un quadro dal quale difficilmente non si potrà tener conto nel futuro prossimo venturo e con il quale dovrà fare i conti anche l'opposizione, a partire dalla bocciatura dell'ipotesi del governo tecnico. «Abbiamo davanti 18 mesi», dice il premier, rassicurando la platea sulla tenuta dell'esecutivo, «mi viene da ridere, non vedo in giro tecnici autorevoli o di talento. Il governo si tiene con la mia autorevolezza». Una autorevolezza, spiega Berlusconi, dettata dalla capacità di tenere insieme l'attuale maggioranza e dalla sapienza con la quale riesce a mediare fra le varie anime del partito. E la prova provata del ragionamento sta tutta nel racconto di come si è arrivati a varare la manovra correttiva. «Non c'è tecnico al mondo che sarebbe riuscito a fare il miracolo che abbiamo fatto», dice il premier ammettendo, però, che il provvedimento è stato varato su precisa indicazione della Banca Centrale europea. «Ce l'ha chiesta la Bce. Con la lettera, scritta insieme a Bankitalia, che ci hanno chiesto di mantenere riservata, la Banca centrale europea ci ha indicato non solo di raggiungere il pareggio di bilancio nel 2013, ma anche in che modo avrebbero preferito fosse raggiunto». Berlusconi, poi, ha difeso la scelta della fiducia: «È un atto di coraggio del governo perché, se ci sono contrasti nella maggioranza e qualche deputato o senatore non la vota, il governo va a casa». Ma, soprattutto, ha ammesso i dissidi con il Carroccio: «Ho accettato il contributo di solidarietà, anche se avevo il cuore che mi grondava sangue, per ottenere dalla Lega il via libera sulle pensioni. Si fa così perché è un do ut des». Già, si fa così. Chissà cosa sarebbe accaduto con un governo tecnico. Il resto dell'intervento ci consegna un premier in sorvolo sui principali temi dell'agenda politica, planando sulla giustizia e virando sulle riforme costituzionali.  «Oggi il potere sovrano non è più dei cittadini ma è dei magistrati di Magistratura democratica», dice Berlusconi, «credo che non si possa e non si debba accettare questa situazione e per questo è assolutamente importante fare la riforma dell'architettura dello Stato, che probabilmente potrà essere approvata dal Parlamento». Poi l'affondo sulle intercettazioni: «Tutti abbiamo diritto a fare degli umani sfoghi se parliamo al telefono con altre persone. Un Paese senza privacy, dove le conversazioni sono ascoltate e anche sfornate sui giornali, non è un Paese completamente libero». Parole non casuali, visto che la maggioranza starebbe studiando una nuova legge sulle intercettazioni. Nonostante tutto «l'Italia è il più bel Paese del mondo», ha detto tornando implicitamente sulla frase «Italia, Paese di merda» pronunciata al telefono. Per questo ha deciso di restare «per cambiare il sistema». Solo prima del vertice di Parigi, che ha deciso l'intervento militare in Libia, avevo pensato di dimettersi. Per fortuna non lo ha fatto. Chissà se voleva dire «nessuno mi può giudicare» anziché «nessuno mi può ricattare», visto che la sua vita privata è «diamantina» (?). Chissà. di Enrico Paoli

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