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E Silvio minaccia Tremonti

Il premier: priorità allla crescita economica. "Devo convincere Giulio a metterci i soldi, altrimenti mando tutto all'aria..."

Lidia Baratta
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«La priorità ora è mettere in campo un decreto credibile, che aiuti le famiglie italiane e metta a tacere le critiche in arrivo dall'Europa». Silvio Berlusconi voleva vararlo oggi il famoso decreto sviluppo. E invece è stato costretto a rinviare a fine mese. La colpa, manco a dirlo, è di Giulio Tremonti, che non vuole metterci i soldi. «Ma adesso deve convincersi che non si può fare a costo zero. Va bene il rigore, ma io devo dare delle risposte all'Europa e al Paese», ribatte il premier. La cui maggiore preoccupazione è che il decreto diventi una storia infinita come la nomina del governatore della Banca d'Italia. Una nomina in cui «ci siamo fatti ridere dietro da tutti», sottolineano da Palazzo Grazioli, «solo perché il ministro dell'Economia si è impuntato su Grilli, coperto da Bossi». Il sospetto del Cavaliere è sempre lo stesso: ovvero che Tremonti, con tutti i suoi no, abbia il solo obbiettivo di portare alla caduta dell'esecutivo. Ed è questo il pensiero su cui il premier si arrovella ormai da settimane. Tanto da essere stato tentato da un rimpasto di governo solo per sostituire il titolare di Via XX Settembre. Tentazione per ora accantonata grazie a Gianni Letta, secondo cui aprire una crisi quasi al buio in queste condizioni non è una strada praticabile. Anche perché, con il malcontento che monta nel partito e nella maggioranza, «sai come inizi e non sai come va a finire». Ma per il Cav un rimpasto può essere davvero un modo per rilanciare l'azione di governo e dare una nuova prospettiva all'azione riformatrice per la parte finale della legislatura. Se ne riparlerà a dicembre, quando la sessione di bilancio sarà terminata e si procederà a una verifica sulla tenuta della maggioranza. Anche se la voglia di far saltare il tavolo è sempre forte. «Quasi quasi mando tutto all'aria e vado alle elezioni, mi ricandido e faccio vedere a tutti come si fa…», ha confidato in settimana a un deputato. Intanto, però, occorre scrivere il decreto sviluppo, dove manca ancora un'idea forte. Si parla di rilancio delle infrastrutture (ma con quali soldi?), di sburocratizzazione e liberalizzazioni, mentre per ora sono state accantonare ipotesi di condoni e patrimoniali Ma non c'è ancora quel “coniglio dal cilindro” che possa fare da volano e dare una sferzata all'economia. Perché la spesa non si può toccare. E le pensioni, finché c'è la Lega di mezzo, nemmeno. Berlusconi vorrebbe rischiare, come gli chiede una parte del suo partito, e rispondere con i fatti ai quindici parlamentari che hanno sottoscritto un appello sul Foglio di Giuliano Ferrara. Ma ha le mani legate. E oggi il premier parte per Bruxelles, dove domenica dovrà dare spiegazioni agli altri leader europei. Con un'altra grana in vista: quella di dover giustificare le mancate dimissioni di Bini Smaghi dal board della Bce. Ieri ha visto di nuovo il ministro dello Sviluppo, Paolo Romani. Il quale poi è salito al Colle per illustrare a Giorgio Napolitano le diverse ipotesi sul decreto. «Non aspettatevi misure salvifiche», sembra mettere le mani avanti Angelino Alfano, mentre Claudio Scajola invita il premier ad avere più coraggio. A Romani il premier ha confermato, inoltre, l'intenzione di modificare la legge elettorale, con un ritorno delle preferenze. Ipotesi che però non convince altri esponenti del Pdl, come Gaetano Quagliariello e Fabrizio Cicchitto, che hanno ricordato come «le preferenze in Europa esistono solo in Grecia». Continua, infine, il dialogo con i Radicali. Col Pdl spaccato: c'è chi li considera «una risorsa democratica» e chi dei «rompiscatole totalmente inaffidabili». Però, si ragiona a via dell'Umiltà, «visti i numeri alla Camera, se il Pd ci fa questo regalo...». di Gianluca Roselli

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