Il nuovo Ulivo già litiga sul programma

Lucia Esposito

Il problema, spiegano, non è vincere. I sondaggi parlano chiaro: sia nella formazione ristretta (Pd, Idv, Sel), sia in quella allargata al terzo polo, la vittoria del centrosinistra alle prossime elezioni politiche è data per probabile. Il punto, ammette sempre più gente nel Pd, è il «dopo»: governare. Con la situazione economica in cui ci troviamo, l’Europa che chiede impegni sempre più stringenti e i mercati che non fanno sconti, le scelte da fare saranno difficili. «Impopolari», come ha ricordato ieri il presidente della Repubblica, rivolgendosi anche a chi «si candida a governare» (leggi: Pd). Per questo all’inizio di luglio Pier Luigi Bersani ha deciso di creare dei “tavoli programmatici” tra Pd, Idv e Sel. Cioè tra gli alleati del Nuovo Ulivo, la futura coalizione. Per cominciare, come direbbe lui, a «stringere i bulloni», a buttar giù qualche idea sul programma. Per mettersi d’accordo sul “dopo”. Poniamo che si vince. Poi cosa si fa?    Il lavoro è stato tenuto riservatissimo. Anche perché, partito in pompa magna, si è subito arenato. Non solo perché, se poi si deve allargare l’alleanza al terzo polo, la discussione rischia di essere inutile. Il punto è che persino tra Pd, Idv e Sel, cioè tra quella che dovrebbe essere la formazione più omogenea, le differenze sono molte. E su punti cruciali per un governo.  I tavoli sono tre. Uno su economia e welfare a cui partecipano per il Pd Stefano Fassina, Emilio Gabaglio e Paolo Guerrieri (professore di Economia politica alla Sapienza), per l’Idv i deputati Antonio Borghesi e Maurizio Zipponi (ex Fiom) e Sandro Trento (professore di Economia all’Università di Trento), per Sel l’ex sindacalista Cgil Betty Leone, gli ex deputati Alfonso Gianni e Titti Di Salvo. C’è quello sulla politica estera, formato da Lapo Pistelli e Giorgio Tonini per il Pd, Gennaro Migliore per Sel, Niccolò Rinaldi, Fabio Evangelisti e Augusto Di Stanislao per Idv. Infine, il tavolo per le riforme istituzionali, dove siedono Luciano Violante e Gianclaudio Bressa per il Pd, Carlo Costantini, David Favia e Nello Formisano per l’Idv, Elettra Deiana, Loredana De Petris e Paola Balducci per Sel. Sul primo, soprattutto, si è sperimentato che le distanze sono profonde. Certo, sui principi generali sono tutti d’accordo. Hanno stabilito che occorre un rilancio «qualitativo» e non solo «quantitativo» della crescita. E che bisogna dar battaglia all’articolo 8 della manovra. Ma sul mercato del lavoro? Posto il fatto che tutti (e chi non lo sarebbe?) sono contro la precarietà e per ammortizzatori sociali universali, bisogna abolire ogni forma di flessibilità o regolarla? Contratto unico (come chiedono i veltroniani) o far pagare di più i contratti che non siano a tempo indeterminato? La contrattazione decentrata in certi casi va adottata, come pensa il Pd, o abolita, come chiedono Sel e Idv? Grandi discussioni, poi, ci sono state sul debito e sul pareggio di bilancio. Se per il Pd ripianare il debito è un dovere, e ben venga fissarlo in Costituzione, per Sel no: meglio diluire l’abbattimento del debito e non tagliare troppo la spesa pubblica. Altro scontro c’è stato sulla patrimoniale: una misura che per il Pd deve essere temporanea, per Sel e Idv  definitiva. E non si è arrivati a un accordo nemmeno su fisco, pensioni, liberalizzazioni.   L'estero Anche il tavolo di politica estera ha avuto il suo bel da fare. Sulla missione in Libia, infatti, la discussione è stata accesa: il Pd era a favore, Sel e Idv contro. Così come sulle missioni internazionali. Claudio Fava, segretario di Sel, ha già detto che la guerra in Afghanistan non la voteranno mai. Lo stesso l’Idv. Mentre il Pd l’ha sempre votata e continuerà a farlo. Quanto alle riforme, il progetto di legge elettorale presentato dal Pd al Senato non va bene all’Idv. Così come non c’è accordo sull’abolizione delle province (Idv è per cancellarle tutte, il Pd solo alcune). Sui costi della politica, infine, si è d’accordo sul principio generale. Ma sul concreto, quali tagli e dove, ancora non c’è nulla. Quindi? Come si fa? Scrivere un programma biblico e fumoso si è già visto che non funziona. Il partito di Vendola punta sulle primarie. «Non serviranno solo a scegliere il leader», avvertono, «ma anche la linea programmatica». Ma siamo sicuri che i perdenti poi accetteranno, in tutto, la linea del vincitore? Riforma delle pensioni e missioni comprese? Difficile. di Elisa Calessi vai al blog