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Nuovo spreco della Casta: nasce l'authority dei diritti umani

In tempo di risparmi feroci c'è spazio per un nuovo progetto inutile che gode di un consenso bipartisan

Andrea Tempestini
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Chi ha il coraggio di dire “no” a una cosa buona e nobile come i diritti umani? Appunto. Così è in arrivo una nuova authority, l'ennesima, per la gioia delle organizzazioni non governative, che la chiedono da tempo e già pregustano il palcoscenico, dei sindacati, che avranno nuove poltrone da dividersi, e degli stessi partiti, i quali, secondo la migliore delle tradizioni italiane in materia di autorità indipendenti, disporranno di un altro sito per la rottamazione dei trombati. Certo, costerà qualcosina, ma le casse pubbliche italiane sono notoriamente in grado di sostenere nuove spese. Stavolta la continuità tra il passato governo e quello attuale è totale, così come l'intesa tra il parlamento dei nominati e l'esecutivo degli stimatissimi professori. L'iniziativa è stata del governo Berlusconi, che a maggio ha presentato un disegno di legge, primi firmatari Franco Frattini e Roberto Maroni, per istituire la “Commissione nazionale per la promozione e la protezione dei diritti umani”. Con il consenso e gli applausi della sinistra a luglio il Senato ha approvato il testo, che adesso è alla Camera per l'approvazione definitiva. Se qualcuno sperava che in tempo di risparmi feroci non ci fosse più spazio per simili progetti, si sbagliava: Giulio Terzi di Sant'Agata, ministro degli Esteri, in un articolo apparso su Avvenire, ha scritto che intende attivarsi «intensamente affinché un'Autorità Nazionale indipendente sui diritti umani possa vedere la luce prima della fine della legislatura». A spingere con forza il governo Monti in questa direzione provvedono anche il Quirinale, il presidente della Camera Gianfranco Fini e l'Udc, dove qualche esponente ha già messo gli occhi sulla guida del nuovo ente. La spiegazione ufficiale cui tutti si aggrappano, ovvero che la creazione di questa authority è obbligatoria per l'Italia, è semplicemente falsa: non esistono risoluzioni né accordi internazionali che costringano il nostro Paese a compiere un tale passo. Come ogni autorità indipendente, cioè autonoma da ogni legame col governo, anche questa dovrà avere vertici, personale, sede e budget adeguati.  La legge la disegna come un organo collegiale composto da un presidente e due membri, scelti «assicurando un'adeguata rappresentanza dei due sessi». Il trattamento economico del presidente, come avviene in altre Authority, sarà al livello dello stipendio del primo presidente della Corte di cassazione: 305mila euro l'anno. Mentre i due commissari dovranno accontentarsi dei due terzi di quella cifra, cioè di poco più di 200mila euro. Dureranno in carica quattro anni e potranno essere confermati per una volta. La commissione sarà affiancata dal Consiglio per i diritti umani, composto al massimo da 40 componenti, scelti in modo da fare felici un po' tutti: 18 consiglieri saranno indicati dalle organizzazioni non governative, quattro dai sindacati (numero non casuale: corrisponde a Cgil, Cisl, Uil e sindacati autonomi), altri dal governo e dagli enti locali. Costoro saranno pagati a gettone, sotto forma di rimborso delle spese di missione per la partecipazione alle sedute. L'Authority potrà anche avvalersi della consulenza di università, organizzazioni e associazioni. Il costo della struttura è stimato, a regime, in 1,7 milioni di euro l'anno. Resta da capire a cosa servirà una simile authority. Terzi di Sant'Agata, nel suo annuncio al quotidiano dei vescovi, sembra alludere alla difesa internazionale delle minoranze oppresse, prime tra tutte quelle religiose e «in particolare quelle cristiane». Ovviamente non potrà essere così: un'authority nazionale non può avere alcun potere oltre confine. La legge le attribuisce comunque compiti ampi e non ben definiti, come «promuovere la cultura dei diritti umani», «formulare raccomandazioni e pareri al governo» e «valutare le segnalazioni in materia di violazioni o limitazioni dei diritti umani». Nel migliore dei casi essa sarà inutile: i diritti umani sono già difesi, in modo estensivo, dalla legislazione italiana. Nel caso peggiore - che è anche il più probabile - essa servirà a sfilare al parlamento e al governo la gestione di tutte le tematiche politicamente più sensibili, come l'immigrazione e le questioni bioetiche (in sede Onu, ad esempio, si va affermando la tesi del diritto individuale all'aborto di Stato). Il senatore del Pd Pietro Marcenaro, uno dei promotori dell'authority, teorizza questa svolta apertamente: «Con l'istituzione di un'autorità per i diritti umani rinunciamo a una parte della nostra sovranità nazionale. L'autorità, infatti, non risponderà solo al diritto interno, ma anche a quello internazionale, quale si forma attraverso i documenti e le sentenze delle Nazioni Unite, della Corte europea dei diritti dell'uomo e della Corte penale internazionale». Ora, tutto è migliorabile e la legislazione italiana in materia di immigrazione, aborto e altre legate ai diritti individuali non fa certo eccezione. Ma proprio per questo rinunciare alla sovranità nazionale su simili temi, per affidarsi alle direttive spesso controverse elaborate da organismi internazionali, dovrebbe mettere più di un brivido al legislatore. Se il Parlamento vuole che gli italiani e i loro rappresentanti continuino ad avere voce su questi argomenti, l'unico modo è impedire la creazione dell'authority che tanti entusiasmi sembra suscitare ovunque. di Fausto Carioti

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