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Monti fa il duro: riforma fatta adesso non se ne parla più Patata bollente al Parlamento

Il premier: nessuno può avere diritto di veto e parla con Napolitano: deciderò lui se decreto legge o legge delega

Lucia Esposito
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Così non si può andare avanti. La riforma è ineludibile, nessuno può avere il diritto di veto». Di più. «È uno dei punti per i quali abbiamo avuto esplicito mandato dai partiti, al momento della fiducia». Mario Monti voleva chiudere la trattativa ieri, dare il via libera alla riforma del mercato del lavoro. «Spero che questo sia l'ultimo incontro, o quasi», ha esordito nel pomeriggio, all'ennesimo tavolo di concertazione con le parti sociali. Non è andata come si aspettava. A furia di inviti a «stringere», a far «prevalere l'interesse generale», di domande provocatorie («ma perché dovete pensarci ancora, non potete rispondere adesso?»), la trattativa è saltata. Ai sindacati la proposta, così com'è, non va bene. I nodi: il “solito” articolo 18 che non piace alla Cgil e la flessibilità in entrata, cioè i contratti precari. La discussione, a sentire loro, sarebbe dovuta durare settimane. «Sono dettagli», ha provato a spiegare Elsa Fornero. Che, capitolo per capitolo, ha illustrato i benefici della riforma: meno precariato, più lavoro a tempo indeterminato, più flessibilità, maggiori garanzie per chi viene espulso dal mercato. Niente. Non ha funzionato nemmeno il notizione: «Il nuovo articolo 18 si applicherà a tutti i lavoratori, compreso quelli delle aziende con meno di 15 dipendenti». L'appello del Colle Caduto nel vuoto l'appello di Giorgio Napolitano, tritato dai veti incrociati dei sindacati e delle associazioni di categoria, il premier a metà pomeriggio ha calato l'asso: riforma in Parlamento così com'è. Accompagnata, per delicatezza, da «un verbale in cui saranno illustrate le posizioni di tutti», comprese quelle critiche. Un modo per passare la palla al Parlamento, cioè ai partiti, inchiodarli alle loro responsabilità di “cinghie di trasmissione” o meno dei sindacati. La mossa, inevitabilmente accompagnata dalla richiesta di un voto di fiducia, avrebbe consentito di approvare la riforma, lasciando fuori le sigle sindacali. Ma, allo stesso tempo, avrebbe finito per spaccare il Pd e, con ogni probabilità, dato agio alla ex maggioranza Pdl - Lega di introdurre qualche modifica nel senso di una maggiore flessibilità e minori costi per le aziende. La reazione dei sindacati Capita l'antifona, i sindacati sono entrati in allarme. Non potendo cedere subito, hanno chiesto tempo. La Uil, con Luigi Angeletti,  ha detto che «servono modifiche per il sì». Mentre Susanna Camusso, segretaria Cgil, ha rivelato di non avere delega dal suo sindacato per firmare seduta stante. Monti, per evitare scossoni e senza nascondere una certa irritazione, ha concesso ancora un giorno e mezzo. Ma non a costo zero. «Ci sarà un nuovo tavolo giovedì, finale, per scrivere il verbale», ha detto in conclusione della riunione. Non è ancora finita, quindi. C'è spazio per le due modifiche che chiede la Uil.  Ma la “pistola fumante” del passaggio al Parlamento senza il via libera dei sindacati. E non si torna indietro. «Sull'articolo 18 sono tutti d'accordo tranne la Cgil. Abbiamo chiuso, non sarà più sottoposta ad analisi», ha messo in chiaro in serata, in una conferenza stampa. Di tempo per discutere, del resto, ce n'è stato. «Da gennaio c'è stata una fitta serie di riunioni con le parti sociali. Ciascuna  ha deciso di fare rinuncie, cercando di lavorare nell'interesse generale, come le parti politiche hanno fatto fin dall'inizio del governo...», ha aggiunto Monti. In ogni caso, «non ci sarà un accordo firmato», quindi nessuno può vincolare gli altri. La stagione della concertazione, quindi, può dirsi conclusa. «Questo modo di prendere le decisioni dà massimo rilievo alle parti sociali, ma non dà a nessuno il potere di veto e valorizza il ruolo del Parlamento», ha sottolineato. «Il mancato consenso della Cgil mi dispiace e mi preoccupa;  ma non sarebbe stato possibile, avendo il consenso Cgil, avere il consenso delle altre parti». Susanna Camusso minaccia scioperi.  Per il premier il capitolo è comunque chiuso, già si pensa alla spendig rewiew. Monti ha informato il Capo dello Stato del «buon esito della trattativa» e con lui deciderà lo strumento da utilizzare per portare ad approvazione il provvedimento. Le ipotesi sono un decreto, che sarebbe la più veloce, un disegno di legge o una legge delega. Il Pdl è pronto a votare tutto, l'Udc parla di un «risultato accettabile». Ora i problemi si trasferiscono nel Pd: sono già emerse tre linee diverse. di Paolo Emilio Russo Elisa Calessi

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