E' morto John Demjanjuk, il boia del campo nazista di Sobibor
Esteri
Rosenheim, 17 mar. (Adnkronos/Dpa) - L'ex carceriere nazista John Demjanjuk è morto nella casa di riposo nella Germania meridionale dove risiedeva. Lo ha riferito la polizia tedesca. Aveva 91 anni. Demjanjuk era stato condannato lo scorso anno a cinque anni di carcere per aver partecipato nel 1943 alo sterminio di 27.900 ebrei nel campo di sterminio nazista di Soribor, nella Polonia occupata. Il 12 maggio dello scorso anno, adagiato su una barella e protetto da occhiali da sole, Demjanjuk ascoltò impassibile il verdetto emesso dal tribunale, dopo un processo durato un anno e mezzo. Prima della sentenza, respinse con un semplice "no" l'offerta di pronunciare una dichiarazione finale. Due anni prima, il 12 maggio 2009, dopo essere stato privato della cittadinanza americana ed espulso dagli Stati Uniti, Demjanjuk arrivava all'aeroporto di Monaco di Baviera e veniva condotto in ambulanza al carcere di Stadelheim. Cominciò così l'ultimo capitolo di una vicenda che si era aperta nel 1977, quando emersero le prime accuse contro quello che allora era un semplice operaio in un'industria automobilistica di Cleveland, Ohio. Nato il 3 aprile 1920 in Ucraina, Demjanjuk fu catturato dai nazisti nel 1942, quando era un soldato dell'esercito sovietico. Secondo le accuse, che ha sempre negato, accettò di entrare nei Travniki, un corpo di ausiliari delle SS. Dopo la guerra visse in Germania fino al 1952, poi emigrò negli Stati Uniti, nascondendo il suo passato. In Ohio, Demjanjuk si costruì una nuova vita, cambiando il suo nome da Ivan a John. Il suo caso si aprì nel 1977, quando il dipartimento di Stato americano iniziò la procedura per la revoca della cittadinanza, dopo la scoperta del suo passato nazista. Trasferito in Israele, nel 1988 fu condannato a morte con l'accusa di essere stato un guardiano del lager di Treblinka, tristemente noto come 'Ivan il terribile'. Ma nel 1993 la Corte Suprema israeliana lo assolse, stabilendo che si era trattato di uno scambio di persona. Demjanjuk tornò negli Stati Uniti, ma il suo caso fu poi riaperto da nuove accuse, che lo indicavano come guardiano del lager di Sobibor. Privato della cittadinanza americana, l'uomo tentò in ogni modo di opporsi all'espulsione dagli Stati Uniti, in ragione della sua età avanzata e delle sue condizioni di salute. Dopo una serie di inutili appelli contro il provvedimento di espulsione emesso nel 2005, Demjanjuk fu estradato nel maggio 2009 in Germania, il paese dal quale era partito nel 1952 per emigrare negli Usa. Sottoposto ad esami medici nel carcere di Monaco dove era stato rinchiuso, Demjanjuk fu riconosciuto in grado di seguire fisicamente e mentalmente un processo, con l'avvertenza che non doveva essere sottoposto a più di due sessioni giornaliere in aula di 90 minuti ciascuna. Il processo iniziò a Monaco il 30 novembre del 2009. Demjanjuk non prese mai la parola in aula e si limitò ad assistere alle udienze su una barella o una sedia a rotelle, a sottolineare il suo precario stato di salute. Il processo durò un anno e mezzo, con rinvii e sospensioni legati alle condizioni dell'imputato, che ha sempre negato ogni responsabilità. Al processo testimoniarono diversi sopravvissuti al lager di Sobibor, o parenti di vittime, in maggior parte ebrei olandesi. Uno di loro, il 90enne Jules Schelvis, chiese che Demjanjuk venisse condannato e poi scarcerato. "In memoria dell'umanesimo dei miei genitori, chiedo alla corte di riconoscere colpevole quest'uomo anziano, che ha già trascorso nove anni di carcere, ma di non punirlo", affermò Schelvis. Sua moglie Rachel era stata uccisa nel 1943 nel lager di Sobibor. Pochi giorni dopo la sentenza, Demjanjuk venne trasferito in una casa di riposo di Bad Feilnbach, nei pressi di Monaco.