Brook svela Shakespeare
tra amore e peccato
Il geniale regista britannico Peter Brook di nuovo a Roma (dove alcuni anni fa venne insignito con la laurea Honoris Causa da parte dell'Università La Sapienza) alle prese, ancora una volta, con l'amato William Shakespeare. È fino a domani al Palladium, ospite del Festival RomaEuropa, non con un testo teatrale ma con la 'mise en espace' dello Shakespeare dei componimenti poetici, i quali, disposti sotto il titolo “Love is my sin”, interpretati da Natasha Parry e Michael Pennington, costituiscono il significativo spaccato di un mondo poetico. Si tratta di un omaggio allo Shakespeare meno conosciuto, tuttavia in linea con la sua grande fama artistica, autore di un vero tesoro, consistente in ben 154 liriche più un componimento pubblicato nel 1962 con la sigla W. S., scritto per un giovane assassinato, ritenuto da molti storici il suo amante. Un corpus di 21 pagine rimasto quasi ignorato, per secoli, ma poi ritrovato per caso a Oxford durante una tesi per un dottorato. Nell'insieme, filologicamente si tratta ancora di un mistero non risolto, nonostante si distingua per una lingua bella e barocca, e qualche anglista opponga delle riserve alla attribuzione proprio a Shakespeare. Un giallo comunque legato legate alle vicende di un ritrovamento che non è riuscito a svelare con chiarezza le origini del manoscritto. Già diversi spettacoli hanno trasferito i versi di Shakespeare sulla scena e Brook non ha voluto strafare, puntando semplicemente su pochi ma intensi momenti, rappresentativi dell'amore (tema generale dell'opera), visto attraverso la passione e la gelosia, fra colpe e disperazioni. Bastano i titoli messi in campo per indicare il senso dell'operazione, esclusivamente sentimentale: “Devouring Time”, “Jealousy”, “Sepatation”, “Time defied”. Poesie accompagnate dal vivo da musiche per ricreare atmosfere d'epoca. Il messaggio è che l'amore resta l'unico a poter vincere contro il tempo, e la poesia è il linguaggio che resiste al suo trascorrere. Una forza che Brook ha giostrato da par suo, con garbo e tonalità essenziali. Una misura che avvolge i versi come in una sfera di cristallo, rendendoli assoluti, trasparenti. Gli attori, nella lingua originale, seguono ritmi scanditi alla perfezione, in modo da lasciare tutto il potere alla parola e al suo contenuto emotivo: “Contempla in me quell'epoca dell'anno / Quando foglie ingiallite, poche o nessuna pendono / Da quei rami tremanti contro il freddo / Nudi cori in rovina, ove dolci cantarono gli uccelli / Tu vedi in me il crepuscolo di un giorno”. Un filo conduttore, pieno di malinconia che la regia, forte del suo magistero, affronta con magica leggerezza.