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Bellezza e simboli secondo Robert Mapplethorpe

A Milano Forma dedica una straordinaria retrospettiva al maestro della fotografia del Novecento

Giulio Bucchi
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“Se fossi nato cento o duecento anni fa, avrei potuto fare lo scultore, ma la fotografia è un mezzo molto veloce per vedere e per fare  scultura”. A parlare così è Robert Mapplethorpe (New York, 1946-1989 ), uno dei più estremi e raffinati fotografi sulla scena della fotografia mondiale, morto di Aids a soli 43 anni. Ora 178 scatti del grande artista americano sono approdati a Milano da Forma (Piazza L. Caro, 1) provenienti dalla Robert Mapplethorpe Foundation, e argomentano una mostra di eccezionale stile e livello quale ne aveva bisogno la nostra città. Un segnale forte per la cultura milanese, vista la magrezza dei tempi, perché anzitutto si indaga su una personalità forte, poi viene messa in cornice un'epoca storica americana, che copre  dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, ovvero dalla Guerra del Vietnam ai movimenti studenteschi, dalle lotte per i diritti civili e per le donne afroamericane alla rivolta dei gay, infine perché antologicamente si  presenta tutta la parabola esistenziale dell'artista che si è dedicato alla ricerca della perfezione formale realizzando opere al tempo stesso classiche e contemporanee. La mostra si articola in  sette sezioni, dalle prime polaroid degli anni Settanta - gli stessi anni in cui furoreggiava a New York  Andy Warhol con la sua Factory - ai ritratti dedicati al corpo maschile esplorato nella sua bellezza simile a quella delle statue greco-romane, passando per l'omaggio alla musa Patti Smith con cui ha vissuto per un periodo nel mitico Chelsea Hotel; senza tralasciare i fiori (calle e orchidee) simbolo della sessualità maschile e della voracità, e ancora la serie Lisa Lyon, la campionessa di Body Building, e i bambini. E' impossibile scindere nelle immagini di Mapplethorpe le ragioni personali e sessuali  da quelle artistiche e fotografiche. Tra gli autoritratti di grande forza espressiva quando si riprende travestito da donna  o si raffigura terrorista, o ancora con un bastone fra le mani sormontato da un teschio e già ammalato di Aids. Degli anni Ottanta  le immagini di  corpo e sessualità avendo usato modelli afroamericani, ma un corpo letto fra simmetrie, curve e diagonali , dove la luce era diventata per lui ciò che lo scalpello era per lo scultore. Anche  nel  ritrarre  fiori ha evidenziato sessualità  e provocazione. Ha detto: “Ho scelto  la fotografia perché mi sembrava il mezzo per commentare la follia dell'esistenza di oggi”. Perfezione, sintesi, bellezza pura e struggente, raggelante visione, dettagli anatomici maschili ai limiti del paradossale, così la sua fotografia è diventata eterna. di Carlo Franza

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