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Le big di Serie A? Sono enormi guai: i soldi ora finiscono alle piccole

Andrea Tempestini
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Equità non sempre vuol dire “tutti felici e contenti”, anzi. E il calcio italiano rischia di scoprirlo sulla propria pelle, con l'evoluzione dei regolamenti sui diritti tv. La legge Melandri (che regolamenta appunto la distribuzione dei diritti) così come la conosciamo ha i mesi contati. La modifica è in arrivo e una prima bozza di proposta sarà ufficializzata nelle prossime settimane grazie al lavoro delle deputate Bonaccorsi e Sbrollini. Centrale sarà l'argomento dell'equità: serve maggiore equilibrio nella distribuzione delle risorse che arrivano dalle televisioni, oltre a paletti più netti per tutti i protagonisti (come gli advisor, leggasi Infront). Più equità vuol dire, in parole povere, che le big riceveranno meno soldi. L'ipotesi infatti è quella di alzare al 50% (attualmente è invece al 40%) la parte di ricavi da distribuire in parte uguali a tutte le società, mentre il 30% in base alla popolazione e il 20% in base ai risultati storici. Un restyling di un certo peso, che potrebbe spostare gli equilibri. Non tanto in Italia, dove comunque la forbice tra prima e ultima resterebbe ampia (la prima guadagna oggi 4,6 volte l'ultima, con la riforma il rapporto sarebbe 3,5 a 1), quanto piuttosto in Europa. Perché, ad esempio, con il nuovo calcolo la Juventus potrebbe perdere quasi 10 milioni di euro rispetto all'attuale suddivisione dei diritti tv, passando da 103 a circa 94. Pure peggio potrebbe succedere se trasportassimo il modello inglese, che in sostanza distribuisce la maggior parte dei ricavi in parte uguali. E anche se parliamo di 10 milioni non sono pochi, perché quei 10 milioni valgono in sostanza uno stipendio di un big per una squadra come i bianconeri. In Serie A potrebbe cambiare relativamente, in Champions League avere un top player in più o in meno influisce eccome. Certo, il discorso di base è giusto: sarebbe ora che il calcio italiano si affrancasse dai diritti televisivi come fonte primaria di sostentamento. Per dire: stando ai dati Deloitte, i diritti tv hanno rappresentato il 56% del totale dei ricavi di Milan (40%), Juventus (62%), Inter (59%) e Roma (62%) nell'ultima stagione. Per il Manchester United i diritti tv sono il 27% dei ricavi, così come per Real Madrid e Barcellona sono intorno al 35%, l'Atletico Madrid sul 45%, il Bayern Monaco addirittura al 22%. Che le italiane dipendano dalle televisioni è praticamente un dato di fatto. Però dall'altra parte bisognerebbe riconoscere che il sistema calcio, in Italia, non funziona come all'estero. Per le squadre è difficile, se non impossibile, creare fonti di ricavo diverse dai diritti tv: sia per scarse capacità, ma soprattutto per problemi strutturali. In questo modo riequilibrare i ricavi potrebbe essere un boomerang, perché sarebbe necessario muoversi in maniera coordinata alla ricerca di altri mezzi per aumentare i fatturati (vedi stadi di proprietà, ad esempio). In tutto questo, poi, non è detto che aumentare i ricavi delle piccole aiuti ad aumentare lo spettacolo: i soldi in più potrebbero semplicemente servire per evitare che i proprietari facciano investimenti di tasca loro, e saremmo al punto di partenza. Servirebbe assicurarsi che vengano utilizzati in una certa maniera, magari in strutture o settore giovanile (come dovrebbero fare pure le big, ma questo è un altro discorso), e non che semplicemente li intaschino e basta. Equità sì, ma non troppa. di Matteo Spaziante

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