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Un camaleonte chiamato ‘diabete'

Questa malattia conosciuta da secoli, sta rapidamente cambiando le sue sembianze, sotto i nostri occhi. E le vecchie strade della ricerca non bastano più a fermarla

Maria Rita Montebelli
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In Cina, in questo momento, una persona su 10 ha il diabete, una malattia un tempo sconosciuta in questo Paese e che nell'arco di pochi decenni è arrivata a contare ben 140 milioni di ‘adepti'. E se Sparta piange, Atene non ride. In Europa non siamo ancora a queste percentuali, ma 3 milioni di persone con diabete nella piccola Italia (con proiezioni in crescita preoccupante) non sono certo da trascurare. L'obesità poi è dilagante. Da noi purtroppo già sui banchi delle elementari. “E' necessario coinvolgere tutti – tuona John J. Nolan, uno dei diabetologi più famosi del mondo, attualmente alla direzione del prestigioso Steno Diabetes Center di Copenhagen – in questa lotta al diabete e all'obesità, se vogliamo che i nostri sistemi sanitari siano ancora sostenibili in futuro. Sono necessari radicali cambiamenti nel modo di mangiare, nella scuola che deve insegnare da subito le buone regole del vivere sano, nel modo di costruire le città e di renderle ‘camminabili'. E' necessario mettere in rete medici di famiglia e specialisti perché tutti diventino parte integrante di questa rivoluzione e quindi della ‘soluzione'. Ma è necessario anche far sì che a questo esercito di persone con diabete, spersonalizzato da questi numeri apocalittici e, a volte, anche dalla medicina basata sulle evidenze, venga restituita singolarmente la propria individualità, così che ognuno possa essere trattato in maniera personalizzata. Come individui cioè, non come categoria”. La ricerca poi deve percorrere altre strade, per non trovarsi in un vicolo cieco. Fondamentale è lo studio del particolare, della rarità, dell'eccezione che può svelare nuovi percorsi della malattia, nella speranza che possano diventare altrettanti bersagli terapeutici. Ma molto importante è anche creare delle reti, condividere casi e casistiche con medici di tutte le parti del mondo. “Perché quello che chiamiamo ‘diabete' – spiega Nolan – è in realtà un insieme di tante malattie diverse, accomunate dal tratto degli zuccheri alti nel sangue. Nel corso degli ultimi anni, sono comparse forme inedite di ‘diabete'. E' il caso del diabete di tipo 2 nei bambini e negli adolescenti, categoria d'età classicamente interessata solo dalla forma 1 della malattia (quella dovuta alla distruzione del pancreas da parte del sistema immunitario). Questi bambini col diabete dei grandi, sono dei ‘tipo 2' molto, ma molto atipici. Ad esempio, l'attività fisica, che è una delle pietre miliari della terapia del diabete, in questi ragazzi non sembra apportare alcun beneficio. Lo aveva dimostrato con studi di laboratorio il professor Nolan qualche anno fa e lo ha ribadito un grosso studio condotto su 700 adolescenti (lo studio TODAY) pochi mesi fa. “Capire perché questo accade – riflette Nolan - può darci delle idee su nuovi modi di trattare questi ragazzi. Un'ipotesi che stiamo valutando è che i loro mitocondri (i ‘polmoni' della cellula) siano soffocati da un eccesso di grassi. L'approccio tradizionale a questa malattia insomma non è più sufficiente a fronteggiare la complessità che la caratterizza. Il consorzio DEXLIFE, finanziato dall'Unione Europea e coordinato dallo Steno Center si sta occupando proprio dello studio di queste peculiarità nei ragazzi col diabete da grandi. Ma il sogno è quello di arrivare un giorno a creare una piattaforma paneuropea per la ricerca clinica nel campo del diabete. Il futuro del trattamento personalizzato del diabete dipende tutto da questa ambiziosa vision”. (STEFANIA BELLI)

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