ONCOLOGIA

Tumore al seno HER2-positivo"Novità terapeutiche nella cura"

Maria Rita Montebelli

Come viene riconosciuto il tumore al seno? Le caratteristiche di una neoplasia della mammella possono variare molto da caso a caso. In linea di massima, il tumore si manifesta una zona indurita, per lo più nodulare, all’interno della mammella. La consistenza è diversa rispetto al tessuto circostante e l’area è più o meno ben delimitabile. A volte invece il tumore può manifestarsi con una retrazione cutanea o del capezzolo oppure con una escoriazione di quest’ultimo che non guarisce. Più raramente può assumere le caratteristiche di un’infiammazione dell’intera ghiandola mammaria o di una parte di essa. Tutte queste manifestazioni possono essere causate anche da patologie benigne. La raccomandazione è di affidarsi allo specialista che indirizza la donna ad eseguire indagini appropriate. A che età deve essere eseguito il primo controllo? Le linee guida dell’American Cancer Society (ACS) suggeriscono l’autopalpazione a partire dai 20 anni così da imparare a conoscere il proprio seno ed essere in grado di cogliere gli eventuali cambiamenti di cui parlare allo specialista. In verità, non esiste un’età precisa, né le linee guida internazionali danno un’indicazione assoluta in assenza di chiari dati. Viene talora suggerito di effettuare prudenzialmente, anche in assenza, di sintomi una visita senologica almeno ogni 3 anni, ma non esistono prescrizioni assolute in tal senso. Per quanto riguarda gli esami strumentali, la mammografia resta l’esame cardine di screening, e si raccomanda fortemente che venga eseguita ogni 2 anni a partire dai 50 anni in poi, possibilmente all’interno di programmi di screening attivi (su invito) promossi dal Servizio Sanitario Nazionale. Non è certa invece l’indicazione per le donne al di sotto dei 50 anni, sebbene alcuni programmi di screening prevedono l’invito nella fascia d’età che va dai 45 anni in su. Indipendentemente dai programmi di screening, le donne possono sottoporsi a mammografia a partire dai 40 anni, come suggerito dalle linee guida ACS. Queste indicazioni riguardano donne a rischio medio, diverso il caso di donne con rischio elevato, come nel caso di familiarità e di presenza del gene BRCA1/2 mutati per le quali i controlli devono essere più stretti impiegando anche la Risonanza Magnetica Nucleare mammaria e devono essere effettuati almeno 10 anni prima della età della più giovane parente già ammalata. Quali sono i numeri del tumore al seno in Italia? Possiamo dire che oggi 8 donne su 10 guariscono? Nel nostro Paese ogni anno si ammalano circa 55.000 donne di queste circa 45.000 ce la fanno ma per circa 10-12.000 il tumore nel tempo svilupperà metastasi. Purtroppo in un 5-7% delle donne il tumore si manifesta quando ormai è in fase avanzata, tuttavia proprio questi casi oggi si possono tenere sotto controllo e rispondono bene ai trattamenti. Possiamo ben dire che il tumore del seno è una delle neoplasie meglio curabili e a più elevato tasso di guarigione, e anche quando sviluppa metastasi la malattia può essere cronicizzata e tenuta sotto controllo per lunghi anni. Quali sono attualmente le 'parole d’ordine' più importanti per il tumore al seno? Diagnosi precoce e chirurgia, perché individuare il prima possibile il tumore e intervenire è fondamentale. Sappiamo però che alcune forme tumorali sono biologicamente più aggressive di altre e sebbene di piccole dimensioni possono dare metastasi; altri tumori invece nonostante i trattamenti praticati dopo l’intervento (terapia adiuvante) ricadono. La nostra attenzione al momento sta tutta nell’identificare le caratteristiche biologiche delle varie forme tumorali per identificare sempre la strategia terapeutica più adeguata. Come si classificano i tumori al seno? Per quali si sono compiuti i maggiori progressi nella cura? Sappiamo che non esiste un solo tipo di tumore al seno bensì una famiglia di tumori molto diversi l’uno dall’altro. I sottotipi identificati devono essere affrontati in maniera diversa e anche le ricerche devono seguire strade diverse. Conosciamo oggi almeno 4 sottotipi principali di tumore al seno: i luminal A e i luminal B che esprimono i recettori ormonali (ER e PgR) che, sebbene a diversa prognosi, possono essere curati anche con terapie ormonali; i tumori HER2-positivi e i luminal B HER2-positivi, che presentano in superficie il recettore HER2 e vanno curati con specifici farmaci diretti contro questo recettore; infine, i tumori che chiamiamo triplo-negativi (negativi per ER, PgR e HER2) che possono essere curati solo con la chemioterapia. Il sottotipo HER2-positivo è quello che ha fatto registrare i migliori progressi terapeutici grazie a farmaci mirati che vanno a colpire il recettore HER2, capostipite è l’ormai conosciuto trastuzumab. Sono trascorsi 30 anni dalla presentazione del primo paper sul tumore al seno HER2-positivo che ha portato allo sviluppo di trastuzumab. Quanta importanza ha avuto questa scoperta e come ha cambiato la storia di questa patologia? Scoprire che questo sottotipo di tumore iper-esprimeva il recettore HER2 e che questo fosse all’origine nel tumore di quella che gli anglosassoni chiamano “addiction” (dipendenza) è stata una grande scoperta. Sapevamo che questo recettore rendeva il tumore più aggressivo e meno responsivo alla chemioterapia e alla terapia ormonale. E’ ovvio che la ricerca ha puntato a scoprire una molecola capace di colpire in modo mirato questo recettore. Capostipite di questi farmaci è stato appunto trastuzumab che ha modificato questi tumori a prognosi infausta in forme sensibili ai trattamentiin un’elevata percentuale di casi. Trastuzumab è un anticorpo, simile a quelli prodotti dal nostro sistema immunitario, che colpisce in modo selettivo il recettore HER2 presente in eccesso sulle cellule tumorali HER2-positive e quando viene combinato alle terapie tradizionali raddoppia la sua efficacia. La nuova formulazione sottocutanea di trastuzumab, ha ridotto in modo significativo i tempi di trattamento: da 30-90 minuti a meno di 5 minuti., Possiamo dire che si è trattato di un miglioramento della qualità di vita dei pazienti? Quali i risultati e il meccanismo d’azione? La qualità di vita dei pazienti è molto migliorata. Lo studio PrefHer evidenzia come più del 90% delle pazienti intervistate dichiari di preferire nettamente la somministrazione sottocute rispetto a quella per via endovenosa. Il primo vantaggio offerto dalla somministrazione sottocutanea è rappresentato dalla minore invasività rispetto alla somministrazione endovenosa. Rapidità e praticità sono altri due ovvi vantaggi della somministrazione sottocutanea dell’anticorpo monoclonale: la somministrazione dura circa 5 minuti contro i 30-90 minuti dell’infusione tradizionale endovenosa. Niente attesa per la poltrona infusionale, e permanenza in ospedale ridotta al minimo. Le stesse strutture ospedaliere ne ricevono vantaggi: reparto e farmacia sgravati di molto lavoro perché si evitano i tempi di preparazione della terapia, non ci sono scarti di farmaco perché nella formulazione sottocutanea il dosaggio è fisso, meno rifiuti ospedalieri e diminuzione del rischio di errore dovuto all’errato calcolo del dosaggio. In definitiva, l’impiego di risorse sanitarie necessarie è ridotto con la somministrazione sottocutanea. Nel tempo forse si potrà pensare all’autosomministrazione domiciliare del farmaco, dal momento che è disponibile – per ora solo in protocolli sperimentali - un device usa e getta “con pompa automatica computerizzata”. Il meccanismo d’azione di trastuzumab sottocute è identico a quello del farmaco a somministrazione intravenosa (trattandosi dello stesso farmaco). Alla formulazione sottocutanea di trastuzumab è stato aggiunto come eccipiente un enzima, (ialuronidasi umana ricombinante) che idrolizzando le fibre di acido ialuronico presente nel sottocute, permette la somministrazioni di volumi di farmaci superiori ad 1 ml. Anche l’efficacia della somministrazione è sovrapponibile a quella di trastuzumab per endovena (come dimostrato nello studio registrativo HANNAH). Ci sono attualmente altre due novità terapeutiche importanti per il trattamento del carcinoma mammario HER2 positivo: pertuzumab e trastuzumab emtansine. Qual è il loro meccanismo d’azione e quali sono le evidenze cliniche? Si tratta di due nuovi farmaci nuovi anti-HER2 estremamente interessanti, che miglioreranno ancora la guaribilità e il controllo dei tumori HER2-positivi. Grazie al loro potenziale terapeutico simile a quello di trastuzumab, si aggiungono all’armamentario terapeutico degli anti-HER2 già esistenti e ci permettono di essere molto ottimisti per il futuro. Pertuzumab è un anticorpo monoclonale simile a trastuzumab, con il quale può essere usato in combinazione in quanto i due farmaci colpiscono parti diverse del recettore e quindi non si ostacolano. Ne risulta un effetto terapeutico potenziato senza effetti collaterali aggiuntivi. Quanto a trastuzumab emtansine (T-DM1) è il primo anticorpo-farmaco coniugato contro HER2, è costituito da un anticorpo (trastuzumab) legato aun chemioterapico molto potente. Il T-DM1, dopo il legame con il recettore HER2, entra nella cellula tumorale e rilascia l’emtansine: colpisce così solo le cellule tumorali risparmiando quelle sane, risparmiando alla paziente i pesanti effetti collaterali che causerebbe in forma libera. Gli studi dimostrano che il T-DM1 è molto efficace nei tumori che sono già stati trattati con trastuzumab e taxani. Diversi studi preliminari indicano che il potenziale terapeutico di T-DM1 è enorme: particolarmente attesi sono i risultati della sua combinazione con il pertuzumab, attualmente in sperimentazione nello studio MARIANNE. L’impiego di T-DM1 nelle fasi precoci di malattia è oggetto di intensa ricerca anche in Italia. In occasione dell’ESMO 2014 sono stati presentati i risultati dello studio di Fase III CLEOPATRA che dimostrano una sopravvivenza maggiore nei pazienti con carcinoma mammario HER2-positivo trattati con l’associazione di pertuzumab, trastuzumab e chemioterapia rispetto a quelli trattati con solo trastuzumab e chemioterapia. Qual è la sua valutazione? Il dato che colpisce di più dello studio di Fase III CLEOPATRA è il miglioramento della overall survival mediana del gruppo trattato con pertuzumab, trastuzumab e docetaxel rispetto al braccio di pazienti trattate con trastuzumab e docetaxel (di 56,5 mesi vs 40,8)dovuto probabilmente alla combinazione dei due diversi meccanismi d’azione degli anticorpi monoclonali. Nello studio i ricercatori hanno valutato l’efficacia e la sicurezza di pertuzumab, trastuzumab e chemioterapia in 808 pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-positivo non trattato in precedenza, carcinoma storicamente noto per essere una delle forme più aggressive di malattia. I nuovi risultati presentati a Madrid hanno dimostrato che le donne trattate con questa associazione hanno avuto una sopravvivenza di 15,7 mesi maggiore di quelle che hanno ricevuto solo trastuzumab e chemioterapia. Gli autori dello studio avevano già riportato che il regime con pertuzumab aumentava in modo significativo la sopravvivenza libera da progressione di malattia. I dati presentati all’ESMO di Madrid rappresentano il risultato definitivo dell’overall survival. I risultati di questo studio rappresentano sicuramente un nuovo passo avanti nel trattamento di questa malattia. All’ESMO 2014 sono stati presentati anche due studi TANIA e IMELDA che indagano efficacia e sicurezza di bevacizumab in pazienti con carcinoma mammario metastatico HER2-negativo. Qual è l’importanza di questi studi? Il bevacizumab in combinazione con la chemioterapia fa già parte del nostro armamentario terapeutico. Tuttavia, soprattutto in Italia, questa combinazione gode di poca popolarità tra gli oncologi a causa di alcuni aspetti ancora controversi. I risultati degli studi TANIA e IMELDA spezzano una lancia a favore dell’impiego del bevacizumab indicando che è possibile migliorare ulteriormente l’efficacia del trattamento aggiungendo al bevacizumab in fase di mantenimento un trattamento con capecitabina (IMELDA) o continuando la somministrazione di bevacizumab anche nelle linee di chemioterapia successive (TANIA). (GIOIA TAGLIENTE)