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Come cambia il linfoma di Hodgkin“Da recidive fatali a ottime terapie”

Intervista con Gioacchino D'Alò, Oncology Business Unit Director di Takeda Italia sui risultati della ricerca farmacologica in questa patologia che colpisce giovani e anziani

Maria Rita Montebelli
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Da due anni responsabile della Oncology Business Unit di Takeda Italia, medico di formazione, Gioacchino D'Alò ha percorso tutta la sua carriera nel settore medico dell'industria farmaceutica “fino a quando mi hanno offerto, vista la mia naturale propensione per il business, di dirigere una struttura che continua ad occuparsi di quegli aspetti scientifici che nel mondo oncologico sono prioritari ma che cura anche quelli commerciali – precisa D'Alò – Insomma, una visione a tutto tondo del mondo oncologico, non soltanto sul versante della ricerca ma anche su quello della commercializzazione dei farmaci che sviluppiamo in casa Takeda”. Quale è la situazione, in questo momento, nel campo della ricerca di nuovi farmaci? La sensazione ‘dal di fuori' è che vengono registrati sempre più spesso ‘nuovi utilizzi' di farmaci già in commercio e sempre meno ‘nuovi farmaci' Parlo, ovviamente, riferendomi al settore che conosco di più, e cioè quello dell'oncologia: devo dire che è un momento estremamente importante – lo è da ormai un lungo periodo– perché finalmente stiamo riuscendo a mettere a punto farmaci cosiddetti ‘intelligenti', cioè che agiscono in maniera mirata sulle cellule cancerogene risparmiando gli organi sani e che quindi non hanno ‘piacere' di essere attaccati da agenti per loro tossici. Ad onor del vero si discute molto in campo oncologico degli aspetti ‘sociali' relativi alla sostenibilità di queste nuove molecole, prendendo anche coscienza del fatto che l'innovazione in campo oncologico ha dei costi. Abbiamo recentemente assistito in un altro settore, quello dell'epatite C, alla felice conclusione di una negoziazione tra azienda e AIFa su di un farmaco che sì guarisce dall'epatite C ma a costi elevati. Tutti sanno che ormai la ricerca in campo farmaceutico ha degli oneri altissimi: pensi che lo sviluppo di un farmaco può anche comportare 5 o 10 anni di lavoro prima di arrivare alla commercializzazione, e ovviamente nella determinazione del prezzo devono essere considerati questi costi, perché il periodo brevettuale di recupero dell'investimento è ormai quasi uguale a quello ‘speso' per la ricerca. Giusto. Ma lo Stato si trova tra l'incudine di offrire ai cittadini i servizi e i prodotti migliori e il martello dei costi sempre più difficili da sostenere. L'Ssn ha il fiato sempre più corto… Noi, ovviamente, andiamo avanti perché la nostra forza è nella ricerca. Se l'industria smette di fare ricerca, per i pazienti sarebbe un drammatico passo indietro: in questo debbo riconoscere un atteggiamento da parte dell'Agenzia Italiana del Farmaco - il nostro interlocutore per quanto riguarda la registrazione dei farmaci e la definizione del prezzo di accesso di vendita – un atteggiamento abbastanza illuminato: cerca sempre di raggiungere il miglior compromesso fra gli interessi dello Stato, quelli dell'industria e la possibilità di sostenere la spesa del farmaco. Ormai devo dire che nelle parole dell'attuale Governo il farmaco viene sempre più considerato come un ‘bene' piuttosto che un ‘lusso' come ahimè è stato fatto tante volte, penalizzando l'industria farmaceutica. Passando agli aspetti più tecnici, perché è considerato ‘raro' un tumore come il linfoma? Perché non si osserva molto frequentemente e quindi entra in un elenco opportunamente predisposto su basi epidemiologiche che lo etichetta come ‘raro'. In Italia si registrano 2000/2500 casi annui con un'incidenza e quindi con un'osservazione leggermente maggiore nel sesso maschile, e con due picchi; nei giovani fra i 20/30 anni e poi negli anziani al di sopra dei 65/70 anni di età. Ed essendo una malattia che interessa anche se non soprattutto i giovani riveste un interesse ancora maggiore per i costi sociali diretti e indiretti legati alla patologia. Nel mondo occidentale indicativamente si registrano circa 3 casi di linfoma di Hodgkin ogni anno per 100 mila abitanti. A che punto sono le ricerche in questo settore? I toni usati nei congressi internazionali sono piuttosto ottimistici Devo fare una premessa: il linfoma di Hodgkin è un tumore ‘curabile'. Significa che dal momento in cui viene diagnosticato si entra nella prima fase terapeutica con una chemioterapia ben validata e circa l'80% dei soggetti riesce a guarire. Ovviamente ci sono dei pazienti che vengono dichiarati ‘guariti', o per lo meno il periodo di osservazione privo da malattia si è protratto per un tempo sufficientemente lungo per dire che il paziente è fuori dalla malattia ma che poi, ahimè, ricadono. E quando c'è la recidiva significa che la malattia sta riprendendo e spesso in quel caso l'esito è infausto: di solito entro un anno, un anno e mezzo dalla recidiva. In questo caso che succede, come ci si comporta? Si interviene con i farmaci ma si cerca soprattutto di intervenire con una terapia molto particolare, il trapianto di cellule staminali autologhe, prese dallo stesso soggetto. Circa il 50% di questi pazienti dopo il trapianto autologo va incontro ad una nuova recidiva, e proprio per questi soggetti Takeda ha sviluppato brentuximab vedotin, un farmaco attualmente in commercio in Italia e rimborsato per uso ospedaliero. I risultati ottenuti in questi pazienti che ormai non avevano grandi alternative terapeutiche perché anche il trapianto di cellule staminali non aveva dato l'esito sperato, sono veramente convincenti: nel 70% dei casi è stata ottenuta una risposta terapeutica mentre prima i risultati delle chemioterapie tradizionali erano assai meno buoni. Addirittura un piccolo gruppo di circa 10 pazienti che ha ricevuto dopo recidiva soltanto il nostro farmaco, continua ad essere ‘senza malattia' a distanza di 4 anni dall'inizio della terapia. Un esempio concreto di un bisogno terapeutico che non aveva ancora avuto una risposta efficace e che grazie al nostro farmaco offre la possibilità ai pazienti di vivere più a lungo – o addirittura guarire – quando invece prima la prognosi era infausta. Qual è la pipe line di Takeda? L'ambizione dell'azienda non è quella di essere presente in campo oncologico ‘perché va di moda' ma quella di sviluppare farmaci che aprano veramente nuove prospettive di cura. Un altro settore nel quale entreremo fra 2-3 anni è quello del mieloma multiplo, un'altra patologia ben curabile ma che come il linfoma di Hodgkin spesso va incontro a recidive. Takeda in passato ha già sviluppato un farmaco che si somministra per via sistemica estremamente efficace nel mieloma multiplo, il bortezomib: oggi stiamo studiando un trattamento somministrato per via orale, con efficacia superiore a quelli somministrati per via sistemica e che ovviamente ci aspettiamo possa anche migliorare l'adesione alla terapia. Più i farmaci oncologici permettono di tenere il paziente lontano dall'ospedale più aumenta l'adesione alla terapia e la qualità di vita. Insomma, sembrate molto più ottimisti voi ricercatori che gli oncologi A differenza di chi parla dal mondo dell'industria, il pessimismo del clinico ovviamente è anche legato al fatto di vedere ciò che noi non vediamo nei nostri corridoi, in primis i pazienti. E a volte ci sono delusioni che l'oncologo subisce nella casistica generale dei suoi interventi, ed è proprio ai pazienti che ‘deludono' che vorrebbe dedicare gli sforzi maggiori. Un po' come successo per il linfoma Hodgkin: la recidiva prima era spesso inguaribile, poi è arrivata l'industria con la sua ricerca innovativa e l'ha trasformata in una patologia ben trattabile. (GIOIA TAGLIENTE)  

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