"Per gli eventi avversi alle statineseguire le linee guida scientifiche"
Professore, il suo centro è stato coinvolto nello studio GAUSS III, quanto è importante riuscire ad attrarre investimenti in ricerca nel nostro Paese? Che ruolo può giocare l'Italia? L'Italia è uno dei Paesi di maggiore interesse per la ricerca clinica e per gli investimenti internazionali; parlo per l'area cardiovascolare, ma ci sono, più in generale, tante altre aree di eccellenza. Il mio centro, l'Ospedale Bassini di Milano, è la dimostrazione che si può fare ricerca in Italia: il nostro centro è stato il primo in Italia, al di fuori di uno studio clinico predeterminato, a porre un paziente sotto terapia con evolocumab, l'anticorpo monoclonale per il trattamento dell'ipercolesterolemia. Si trattava di un paziente che richiedeva questo tipo di intervento perché presentava livelli lipidici inaccettabili, anche dopo essere stato in terapia con statine e con gli inibitori dell'assorbimento del colesterolo. Un motivo di grande soddisfazione… Questo è sicuramente un motivo di orgoglio. Noi siamo molto interessati a svolgere tali studi, non tanto per l'aspetto economico che, dal mio punto di vista, è praticamente irrilevante, ma per la novità che essi rappresentano e per il contributo che, così, possiamo dare alla cura del paziente. Ritengo che, potenzialmente l'Italia, sia uno dei Paesi migliori per questo tipo di ricerca e, pur tuttavia, non stiamo sfruttando al meglio le possibilità che abbiamo. Purtroppo le lungaggini che si riflettono nei permessi dei comitati etici e le pratiche burocratiche presso ogni ospedale rendono meno attraente questa ricerca. Il mio stesso centro, avendo come riferimento il comitato etico del Niguarda da quando i due ospedali sono stati accorpati, è spesso costretto ad affrontare tempi approvativi molto lunghi. Tutto ciò demotiva le persone. È un problema presente che va riconsiderato. L'AIFa sta facendo un grandissimo sforzo per cercare di razionalizzare questo iter, ma i risultati ancora non si vedono o si vedono solo in parte. Come dicevo, si può fare ricerca clinica in Italia, ma rispetto ad altri Paesi non siamo così competitivi. Evolocumab vanta un vasto piano di studi clinici che ne hanno dimostrato l'efficacia e la sicurezza in pazienti a rischio cardiovascolare alto e molto alto che non sono adeguatamente controllati. Come si inquadra tutto questo nell'ottica di rispondere a un bisogno medico non soddisfatto? Direi che certamente questo ampio progetto di studi clinici svolto per evolocumab è lodevole e anche raccomandabile perché è importante per conoscerne tutte le sfaccettature. Più studi si fanno e meglio si comprende un farmaco: prima, durante e dopo la sua approvazione e commercializzazione per un suo utilizzo più esteso. I pazienti che presentano un profilo di rischio cardiovascolare alto e molto alto sono sicuramente quelli più indicati per questo tipo di trattamento e io vedo un grande bisogno medico non soddisfatto principalmente in tre aree: la prima è quella dei soggetti a elevato rischio cardiovascolare per i quali l'obiettivo terapeutico non viene raggiunto. Un'altra area importante è quella dei pazienti con ipercolesterolemia familiare nei quali il raggiungimento di livelli di LDL ottimali è molto complesso e infine i soggetti con intolleranza grave alle statine. Quest'ultima, in particolare, è un'area di grande ricerca per la quale il momento cruciale è quello della diagnosi di intolleranza alle statine. Ecco perché raccomando di seguire le linee guida proposte dalla nostra società scientifica che si è espressa attraverso una consensus sugli eventi avversi da statine, in particolare i dolori e i danni muscolari. (LARA LUCIANO)