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Sclerosi multipla recidivanteOcrelizumab di Roche funziona

I nuovi dati sulla molecola presentati in occasione del convegno americano di neurologia AAN evidenziano riduzioni significative dell'attività di malattia e della progressione della disabilità nella

Maria Rita Montebelli
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In occasione del 70°convegno annuale dell'Accademia Americana di Neurologia (AAN), appena conclusosi a Los Angeles, sono stati presentati nuovi dati che mostrano l'efficacia di ocrelizumab nella sclerosi multipla recidivante (SMR) in base a diversi parametri relativi all'attività di malattia sottostante e alla progressione della disabilità, tra cui risonanza magnetica (RM), funzione cognitiva e biomarcatori di infiammazione e neurodegenerazione presenti nel liquido cefalorachidiano. I nuovi dati di sicurezza, inoltre, restano coerenti con il profilo beneficio-rischio favorevole di ocrelizumab, sia nella SMR sia nella sclerosi multipla primariamente progressiva (SMPP). “Questi dati di ocrelizumab evidenziano l'impatto esercitato da questa terapia diretta contro i linfociti B sul rallentamento della progressione della disabilità nella SM – ha dichiarato Stephen Hauser, MD, presidente dello Scientific Steering Committee degli studi OPERA, direttore del Weill Institute for Neurosciences e presidente del dipartimento di neurologia presso l'Università della California a San Francisco – avvalorando ulteriormente l'approccio del trattamento precoce. Negli studi di estensione, i pazienti trattati con ocrelizumab in modo continuativo hanno manifestato una progressione della malattia inferiore rispetto a quelli che hanno iniziato la terapia in un momento successivo. È incoraggiante continuare a constatare un effetto solido e un profilo di sicurezza consistente dopo quattro anni di dati”. Come mostrato in una presentazione orale, nella quale sono stati presentati i dati relativi all'attività cerebrale alla RM misurata nel periodo randomizzato e nella fase di estensione in aperto (OLE) degli studi di fase III, i benefici apportati da ocrelizumab nella riduzione dell'attività di malattia sottostante la SMR si sono infatti protratti per quattro anni di trattamento continuativo. I pazienti che hanno proseguito la terapia con ocrelizumab hanno mantenuto un basso numero di lesioni in T1 captanti gadolinio (T1Gd+) [0,017−0,00 lesioni T1Gd+ per scansione] e di lesioni in T2 nuove e/o in espansione (T2N/E) [0,052−0,072 lesioni T2N/E per scansione] fino al secondo anno della fase OLE. I pazienti che sono passati dal trattamento con interferone beta-1a a ocrelizumab all'inizio del periodo OLE hanno evidenziato una soppressione completa delle lesioni T1Gd+ per scansione al primo e al secondo anno (0,48−0,00 lesioni T1Gd+ per scansione), nonché una riduzione delle lesioni T2N/E per scansione pari all'85% e al 96% rispettivamente al primo e al secondo anno (2,16−0,33 e 0,08 lesioni T2N/Eper scansione). Una seconda analisi a quattro anni presentata in un poster all'AAN ha dimostrato che i soggetti che hanno proseguito la terapia con ocrelizumab fino al secondo anno del periodo OLE hanno mantenuto bassi tassi annualizzati di recidiva (ARR) e una bassa progressione confermata della disabilità a 24 settimane (CDP24). I pazienti che sono passati dal trattamento con interferone beta-1a a ocrelizumab hanno manifestato una riduzione significativa dell'ARR e della CDP24 entro il primo anno, la quale si è mantenuta fino al secondo anno di trattamento. I nuovi dati sulla performance cognitiva, esposti in una presentazione orale, hanno evidenziato che, rispetto a interferone beta-1a, ocrelizumab nei soggetti affetti da SMR ha ridotto il rischio di deterioramento cognitivo confermato a 12 e 24 settimane (inteso come un deterioramento confermato di almeno quattro punti al Symbol Digital Modalities Test [SDMT]) del 38 per cento e del 39 per cento (rispettivamente p ≤ 0,001 e p = 0,002) durante il periodo di 96 settimane. La compromissione cognitiva colpisce fino al 65 per cento dei soggetti affetti da sclerosi multipla. In una differente presentazione dei dati aggregati degli studi OPERA I e OPERA II, i soggetti affetti da SMR maggiormente esposti al rischio di progressione della malattia (in base a punteggi basali pari ad almeno quattro e due punti rispettivamente nella Expanded Disability Status Scale (EDSS) e nei Pyramidal Kurtzke Functional Systems) e trattati con ocrelizumab hanno manifestato un miglioramento significativo della funzione cognitiva rispetto a quelli trattati con interferone beta-1a per 96 settimane (da intendersi come la percentuale di pazienti che hanno ottenuto un miglioramento ≥ 4 punti al test SDMT; 62,2 per cento versus 46,5 per cento; p = 0,009). “Preservare la funzione cognitiva è un obiettivo importante nel trattamento della SM, in quanto si associa alla capacità di elaborare informazioni, risolvere problemi e concentrarsi nella vita quotidiana – ha dichiarato Stanley Cohan, MD, Ph.D., direttore medico del Providence Multiple Sclerosis Center, Portland, Oregon – Questi dati, dai quali emerge che ocrelizumab, oltre a ritardare l'insorgenza di deterioramento cognitivo documentato, potrebbe migliorare la funzione cognitiva nei soggetti affetti da sclerosi multipla, avvalorano un potenziale ruolo di questa terapia nell'affrontare una delle manifestazionipiù importanti, frequenti e impegnative della disabilità indotta da sclerosi multipla”. In un'altra presentazione orale, ocrelizumab ha dimostrato a 12 e 24 settimane di ridurre la presenza di biomarcatori di danno ai nervi e di infiammazione presenti nel liquido cefalorachidiano (liquor), inclusi rispettivamente la concentrazione mediana di catene leggere dei neurofilamenti (NfL) (settimana 12: −24 per cento, settimana 24: −47 per cento) e il numero mediano di linfociti B CD19+ (settimana 12: −86 per cento, settimana 24: −82 per cento). Questa analisi ad interim sui pazienti affetti da SMR del nuovo studio di fase III OBOE (Ocrelizumab Biomarker Outcome Evaluation) si aggiunge alle evidenze relative ai biomarcatori chiave nella sclerosi multipla. Tali biomarcatori potrebbero essere usati nelle ricerche future per valutare più rapidamente la nuova attività di malattia e il modo in cui i pazienti rispondono alle diverse terapie. I nuovi dati di sicurezza esposti in occasione del convegno AAN, relativi a 3.778 pazienti affetti da SMR e SMPP e a 9.474 anni-paziente di esposizione a ocrelizumab, in tutte le sperimentazioni cliniche condotte restano coerenti con il profilo beneficio-rischio favorevole del farmaco. Ad aprile 2018, oltre 40 mila soggetti sono stati trattati con ocrelizumab in tutto il mondo. (FABRIZIA MASELLI)

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