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"Atezolizumab e nab-paclitaxel diverrà lo standard terapeutico"

Professor Sabino De Placido

Intervista al professor Sabino De Placido (nella foto), direttore dell'Oncologia Medica dell'Università degli Studi di Napoli 'Federico II' sullo sviluppo dell'imunoterapia nel trattamento del carcinoma mammario

Maria Rita Montebelli
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Quali sono le basi biologiche che hanno supportato lo sviluppo dell'immunoterapia anche nel carcinoma mammario?  Perché specialmente nelle pazienti triplo negative? Nello studio delle caratteristiche biologiche del carcinoma mammario una delle domande di maggiore interesse cui la letteratura scientifica ha cercato di dare risposta è se tale neoplasia sia immunogenica, cioè se abbia capacità di provocare una risposta immune e, quindi, di beneficiare di una immunoterapia. Le evidenze accumulate suggeriscono sottotipi 'immuno-attivati' sulla base dei seguenti dati: 1 - la presenza di cellule immunitarie e linfociti che infiltrano il tumore ed il microambiente tumorale (Tumor-infiltrating lymphocytes - TILs), che riflettono la reazione del nostro sistema immunitario nei confronti delle cellule tumorali; 2 - la presenza di un sottotipo molecolare di tipo 'immunomodulatore', con caratteristiche prognostiche diverse; 3 - una instabilità genetica in grado di generare un elevato numero di mutazioni, (Tumor mutational burden -Tmb), che si traduce in un maggior numero di 'neo-antigeni'.  Tutte queste caratteristiche, riconosciute come associate ad una migliore risposta all'immunoterapia, sono molto più evidenti nei tumori Triplo-Negativi, che sono considerati uno dei sottotipi più immunogenici di carcinoma mammario e, pertanto, possibili candidati a trattamenti immunoterapici. Infine, nei tumori Triplo-Negativi vi è una significativa espressione della proteina PD-L1, che legandosi al recettore PD-1 localizzato sulle cellule immunitarie infiltranti il tumore, inibisce la risposta immunitaria antitumorale. I più recenti anticorpi immunoterapici approvati o in fase avanzata di sviluppo, come l'atezolizumab, agiscono proprio sul sistema PD-1/PD-L1. Quali sono le attuali opzioni terapeutiche di queste pazienti oggi? I tumori della mammella Triplo-Negativi (TN) sono caratterizzati da una storia naturale  diversa dagli altri sottotipi di tumore della mammella e da una  evidenza di prognosi peggiore. Studi clinici hanno dimostrato una frequenza  più elevata di recidive viscerali prevalentemente entro i primi tre anni dalla diagnosi e andamento clinico più aggressivo. Anche le opzioni di trattamento sono limitate: attualmente le pazienti con tumore mammario TN possono giovarsi esclusivamente della chemioterapia: in fase precoce prevalentemente associazione di antracicline e taxani;  nella prima linea di trattamento in fase avanzata uno dei regimi  di maggiore utilizzo è taxano eventualmente associato al farmaco antiangiogenetico bevacizumab; in seconda linea metastatica possono essere somministrati sali di platino, capecitabina o eribulina. Cosa è emerso dai recenti studi sull'uso di atezolizumab nel trattamento del carcinoma mammario metastatico triplo negativo? L'atezolizumab di Roche in monoterapia in uno studio di fase 1 in pazienti con tumore mammario TN con elevata espressione del marcatore PD-1 in fase metastatica ha evidenziato non solo un beneficio sostanziale in termini di riduzione delle metastasi tumorali mantenuta per lunga durata ma anche una lunga sopravvivenza, se comparata a quella ottenuta con trattamenti convenzionali. Tutto ciò ha portato al disegno dello studio di fase 3, IMpassion130, i cui risultati di notevole rilevanza clinica sono stati recentemente presentati all'ESMO 2018. Tale studio è stato condotto in centri oncologici di vari Paesi del mondo su circa 900 pazienti con tumore metastatico TN randomizzate a ricevere immunoterapia con atezolizumab in combinazione con un farmaco chemioterapico (nab-paclitaxel) oppure la sola chemioterapia. I risultati sono stati sorprendenti: la combinazione di immunoterapia e chemioterapia rispetto alla sola chemioterapia ha determinato un beneficio di sopravvivenza libera da progressione statisticamente significativo in tutte le pazienti con tumore TN. Il dato di maggiore interesse clinico, però, riguarda  le pazienti con tumore TN metastatico ed iper-espressione di PDL1, che hanno mostrato una mediana di sopravvivenza quasi doppia rispetto alle altre (25 mesi se trattate con atezolizumab+ nab-paclitaxel verso 15 mesi se trattate con il solo nab-paclitaxel). Tutto ciò al prezzo di un profilo di tossicità leggermente incrementato, ma comunque consistente con i dati della letteratura già noti in merito alle tossicità dei due singoli agenti antitumorali. I risultati di questo studio hanno un'importanza storica perché per la prima volta un farmaco immunoterapico, atezolizumab, mostra un chiaro beneficio nel tumore al seno e, ancor più importante, questo vantaggio si ottiene nella forma più difficile da trattare, il tumore triplo negativo, che non risponde alla terapia ormonale o ai farmaci anti-HER2, in un contesto clinico nel quale la Ricerca non è mai riuscita a migliorare la sopravvivenza con nessun altro farmaco. Infine, l'osservazione di un beneficio fortemente evidente nelle pazienti con tumore che esprime il PD-L1 permetterà di sviluppare una terapia personalizzata senza sprechi di risorse. Quali sono le sfide aperte nel trattamento di questa forma di tumore della mammella con l'immunoterapia? Lo studio IMpassion130 cambierà la pratica clinica del trattamento dei tumori metastatici TN; in particolare, la terapia con atezolizumab e nab-paclitaxel diverrà uno standard terapeutico irrinunciabile, certamente nel sottogruppo di pazienti con elevata espressione di PD-L1, per cui sarà necessario standardizzare e rendere disponibile in maniera diffusa la metodologia di rilevamento di questo biomarcatore. La ricerca di biomarcatori predittivi di risposta è quanto mai rilevante se si considera che si tratta, da un lato, di trattamenti che presentano uno specifico profilo di tossicità, e dall'altro, se si considera anche il necessario tema del contenimento dei costi per il SSN. Un altro quesito importante potrà essere capire se Atezolizumab possa confermare gli stessi vantaggi in associazione ad altri farmaci chemioterapici attivi nel setting dei tumori metastatici TN, quali i sali di platino, la gemcitabina e la capecitabina. Un'altra sfida aperta sarà, infine, quella di comprendere quanto l'immunoterapia possa rappresentare una strategia vincente in caso di malattia non metastatica, nel contesto di un trattamento post-chirurgico (terapia adiuvante) o pre-chirurgico (terapia neoadiuvante). Non è infine scontato che i tumori TN possano essere gli unici a beneficiare dell'immunoterapia. Ad esempio è in studio la possibilità di utilizzare l'immunoterapia in tumori HER2 positivi, in associazione a terapie convenzionali anti-HER2. Ci sono studi in corso in Italia sull'uso di atezolizumab nel carcinoma mammario? Sono in corso sette studi per valutare l'efficacia e la sicurezza di atezolizumab in combinazione con la chemioterapia sia in fase iniziale che metastatica nel TNBC. Nello specifico di questi in Italia sono attivi tutti e 3 gli studi in metastatico (IMpassion130, 131 e 132). Di questi, negli ultimi due atezolizumab è utilizzato in associazione con altri farmaci attivi nel tumore mammario metastatico TN, quali sali di platino, capecitabina o gemcitabina per valutarne l'efficacia. Infine, in Italia sono in corso nel setting adiuvante lo studio IMpassion030 (studio clinico di fase III, in aperto, di confronto tra atezolizumab in combinazione con chemioterapia adiuvante basata su antraciclina/taxano e chemioterapia da sola) e nel setting neo-adiuvante lo studio NeoTrip (studio di fase III in cui è confrontata  in terapia neoadiuvante l'associazione atezolizumab, nab-paclitaxel e carboplatino verso nab-paclitaxel e carboplatino). (EUGENIA SERMONTI)

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