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Ritorna in commercio l'avorio

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Gli ambientalisti protestano

Albina Perri
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Elefanti in pericolo: dopo  quasi un ventennio l'avorio sta per tornare sul mercato. A lanciare l'allarme gli ambientalisti dell'Agenzia per la tutela dell'ambiente (Eia), che temono l'inizio di una nuova strage di dimensioni simili a quella che negli anni '80 portò all'abbattimento di circa settecentomila esemplari solo nel continente africano.  Solo tra il 1980 e il 1989 gli animali passarono da 1,3 milioni a 625mila. Domani, infatti, il Cites, l'organismo delle Nazioni Unite che veglia sugli scambi di fauna e flora che rischiano l'estinzione, si riunirà a Ginevra per autorizzare la vendita di oltre cento tonnellate del materiale ricavato dalle zanne degli elefanti. Ma a chi serve tutto questo avorio? Alla Cina soprattutto. Lo sviluppo vertiginoso di Pechino ha aumentato la fame di oggetti di lusso e l'avorio è un materiale tanto prezioso quanto raro. Quando nel 1997, nonostante la proibizione, il Sudafrica, la Namibia, il Botswana e lo Zimbabwe, convinsero la Cites ad autorizzare il commercio delle zanne di elefanti morti per cause naturali, sul mercto furono ceduti ben 50 tonnellate del prezioso materiale. Ma la Cina, allora, fu esclusa dalla cerchia degli acquirenti selezionati, ovvero quei Paesi in grado di dimostrare un forte impegno contro il commercio illegale di avorio. Ora Pechino si vuole rifare: per farlo dovrà riuscire a farsi riconoscere lo status di nemico del traffico illegale. "La Cina ha fatto grandi passi avanti nella lotta contro il contrabbando di avorio", ha dichiarato un funzionario del Cites. Ma gli ambientalisti dell'Eia non ci credono. L'Agenzia per la tutela dell'ambiente ha reso pubblico un rapporto del governo cinese che dimostra come nell'arco di dodici anni Pechino abbia perso le tracce di 121 tonnellate di avorio, che sono costate la vita di ben 11mila elefanti. "Se queste nuove importazioni legali andranno avanti - sostiene Thernton - forniranno una copertura gigantesca per il traffico illegale".

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