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Omicron non uccide: lo studio-choc, chi sta finendo davvero in terapia intensiva e perché

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La variante Omicron

Lorenzo Mottola
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C'è chi lo ha definito un auto-lockdown: gli italiani nelle ultime settimane hanno quasi del tutto azzerato la loro vita sociale, le città si sono svuotate e molte aziende sono tornate al temuto smart working (anglicismo che in realtà è stato inventato in Italia e che resta sconosciuto in praticamente tutto il mondo). La Omicron con i suoi picchi da 200mila contagi al giorno ha seminato il panico. Panico che non appare motivato, stando alle attuali conoscenze. Qualche Paese (Regno Unito) si prepara addirittura ad allentare le restrizioni nelle prossime settimane. La ragione è semplice: la malattia sembra diventata meno letale e continuano ad arrivare conferme di questa svolta. Nei giorni scorsi è stato diffuso uno studio realizzato dall'Università di Berkeley che sembra dimostrarlo: una ricerca immensa realizzata analizzando le banche dati della sanità californiana per confrontare l'impatto di delta e omicron. Il dato che colpisce maggiormente è questo: su 50mila individui colpite dalla sudafricana, solo sette sono finiti in terapia intensiva, nessuno è stato intubato e uno solo è morto. Il che, hanno concluso gli scienziati, significa che le probabilità di decesso si sono ridotte del 91% rispetto alla delta.

 

 

LE PROVE
In Italia non c'è ancora stato ancora modo di fare analisi così dettagliate sul nuovo virus, ma qualche indizio si inizia a cogliere. Basta fare un giro nelle corsie dell'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove si trovano 162 ricoverati per il Corona: 135 nei reparti ordinari e 27 in terapia intensiva. Nessuno tra quest' ultimi è affetto dalla variante sudafricana. E ovviamente l'80% di loro non è vaccinato, ma questa è un'altra faccenda. L'ottima notizia è che pare che in tutta la Lombardia la situazione sia identica. «Certo non abbiamo ancora evidenze che omicron dia sintomi più leggeri», spiega Ariela Benigni, direttore Ricerche dell'Istituto Mario Negri «ci sono vari pezzi di un puzzle da mettere insieme, tra esperimenti di laboratorio e alcuni dati sui pazienti. E il fatto che nelle terapie intensive della Lombardia si trovino solo pazienti con variante delta è significativo». In altre parole, si può cominciare a sperare: «Sarebbe un problema se emergessero nuove varianti, ma al momento non c'è motivo di pensarlo, anche se resta sempre possibile», continua la Benigni. Altro fatto positivo: «Omicron contagia anche chi è già stato colpito dalla delta, ma non sembra capiti il contrario. Più che altro perché ormai delta sta venendo soppiantata». L'Istituto Superiore di Sanità ha diffuso ieri un report al riguardo: si stima che l'81% dei casi sia riconducibile alla omicron. E queste stime sono state realizzate su dati del 3 gennaio. Ad oggi, la situazione potrebbe essere ulteriormente mutata. In Lombardia pare che sia arrivata addirittura al 90%, come indicato proprio da un'indagine del Mario Negri.

 

 

I PROBLEMI
Certo, tutti i ricercatori lo ripetono: non parliamo comunque di un raffreddore. Gli ospedali rischiano di andare ugualmente in affanno per l'incredibile velocità con cui ora si diffonde il virus. È anche vero, però, che la curva dei contagi in Italia ha inizito ad abbassarsi. Riguardo all'impatto sulle strutture sanitarie, poi, c'è un altro fatto da considerare: lo studio di Berkeley indica che anche la durata dei ricoveri con omicron si è accorciata: dopo 3,4 giorni in media il paziente viene dimesso. E c'è altro Come si può vedere nella tabella qui a fianco, i ricercatori hanno concluso che con omicron si abbassa del 52%, il rischio di ricovero senza sintomi, del 53% di ricovero con malattia sintomatica, del 74% di finire in terapia intensiva, rispetto alle infezioni con la variante delta. Un altro aspetto interessante, per quanto ormai abbastanza noto, riguarda i vaccini. Omicron, come spiegato due giorni fa dal virologo della Casa Bianca Anthony Fauci, non buca i vaccini. Il rischio di aggravarsi per chi si è immunizzato è sensibilmente più basso. Anche se, come ormai hanno capito anche i sassi, il siero non previene dal contagio.

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