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Giuliano Ferrara: "Nell'Italia di Esposito-Badoglio ecco che spuntano topi e ruffiani"

Andrea Tempestini
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"E' il momento supremamente badogliano che tutti gli italiani cultori di storia e di memoria conoscono, e anche i non cultori s'accorgono che il topo sguscia via dalla nave che affonda". Esordisce così Giuliano Ferrara nell'editoriale di fuoco pubblicato su Il Foglio di lunedì 14 aprile. Il riferimento da cui muove una lunga e dolorosa riflessione è lo strappo di Paolo Bonaiuti, che abbandona Forza Italia e Silvio Berlusconi per accasarsi con il Ncd di Angelino Alfano. "Non c'è da scandalizzarsi - prosegue l'Elefantino - che nel seno del berlusconismo siano state allevate tante mezze tacche, tanti ruffiani". "Che vogliamo farci? Che importa? Nulla". Partito delle manette - Dopo una riflessione sulla "virata" di Massimo D'Alema, costretto da Matteo Renzi a smettere di "diffamare, accerchiare, criminalizzare" Berlusconi ("meglio lanciare la lotta violenta contro la burocrazia al Salone del mobile di Milano"), sul Cavaliere Ferrara scrive: "Ora è incredibilmente sotto scopa da parte dei magistrati, che comunicano a lui e a un paese insensibile da sempre alla giustizia la verità del ricatto giudiziario e politico: se parla e dice quel che pensa lo sbattono in galera". Il direttore riflette poi sul fatto che "i suoi potenziali carcerieri ideologici (di Berlusconi, ndr) Renzi li ha imprigionati nella disdetta e nell'irrilevanza mostrandone a schiaffoni la nuda e secca e allampanata gigionaggine di leader bacucchi. Invece su Berlusconi, il Maestro del ragazzo che piace anche all'elettorato di centrodestra, è calata non già la sconfitta politica bensì la mannaia giudiziaria". La "b" minuscola" - Per Ferrara "il paradossale miracolo del partito delle procure è stato di prendere il maggiore contribuente italiano e condannarlo per frode fiscale. E da lì, dalla percezione pavida di un pericolo drammatico per il loro capo, parte la timida rivolta dei ruffiani". Il mirino dell'Elefantino, ora, si sposta su chi abbandona la nave nel momento di difficoltà. "...parte la timida rivolta dei ruffiani, dei ministeriali, dei bonaiuti" (scritto con la "b" minuscola, o). Quel primo agosto - Dunque il nuovo riferimento al momento "supremamente badogliano": "Nella storia dell'Italia berlusconiana, lunga storia che batte ogni record, il 25 luglio e l'8 settembre sono una sola data: 1 agosto del 2013". La data della condanna nel processo Mediaset dalla quale, secondo il direttore, è seguito tutto (l'ultimo capitolo, appunto, l'addio di Bonaiuti). E in quel primo agosto 2013, "il teatro degli eventi non è il campo di battaglia, se volete dell'onore e del disonore, della tragedia nazionale, né il corridoio della monarchia traditrice: è un'aula afosa, ventilatore e carabiniere sonnecchiante compresi, della austera Corte di cassazione. Il nostro Badoglio si chiama dottore Esposito. Da lì - ricorda Ferrara - comincia la strada in salita che la gogna impone a Berlusconi. Percorribile, ma decisamente ripida". La conclusione - Il direttore aggiunge: "E' una differenza di qualità che consentirà agli storici onesti (...) di scrivere secondo ragionevolezza e senso comune (...) la storia della crisi della Repubblica dei partiti, dell'irruzione dell'anomalo e dell'outsider nella politica e nella mentalità italiane, e del gigantesco cambiamento, Renzi compreso, rottamazione compresa, che la sua opera personale, privata e politica ha reso possibile in questo paese immobile che indossa la parrucca".

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