Commento

Selvaggia Lucarelli: Corona si merita la galera ma non certe amicizie

Ignazio Stagno

Conosco Fabrizio Corona. Come tutti quelli che l’hanno conosciuto prima che finisse in carcere, sono stata allo stesso tempo vittima del suo fascino e della sua inaffidabilità. Fabrizio è un entusiasta, un incantatore e sa essere molto simpatico, specie quando spiattella verità imbarazzanti su se stesso e sugli altri, tradendo un’amoralità tutto sommato cristallina. Fabrizio però è anche altro. È, come chiunque lo conosca sa, una persona totalmente inaffidabile. È vero che è un ragazzo molto educato, come qualcuno ci tiene a sottolineare, ma è un’educazione di forma, perché saluta, sorride e stringe la mano, ma poi non esita a non rispettare la parola data, a eclissarsi dopo accordi e promesse, a sacrificare amici e conoscenti per ragioni di calcolo e convenienza e a riallacciare rapporti con amici e conoscenti per le stesse ciniche ragioni. L’ultima volta che l’ho visto, qualche giorno prima del suo arresto, era venuto in una mia trasmissione su Sky. L’appuntamento era a mezzogiorno, lui si presentò alle diciassette. Varcò lo studio bello come il sole, fece due moine a tutti, me compresa, rilasciò un’intervista epica in cui dichiarò di prendere il Viagra come Zigulì e tutti lo salutammo con affetto e gratitudine, dimenticando quante ore ci aveva fatto penare. Dimenticando quante telefonate nervose facemmo, quanto tempo sacrificato, quanta mancanza di rispetto ebbe nei confronti di trenta persone che rimasero lì per lui. Questo è Fabrizio Corona, un personaggio ambivalente, ugualmente fascinoso e detestabile, con una naturale repulsione per le regole, che siano quelle sancite dalla Costituzione o quelle di una convocazione in uno studio tv. Assisto in queste ultime settimane al circo mediatico messo in piedi per chiedere la sua scarcerazione in favore dei domiciliari e fatico a trovare un’opinione lucida, un punto di vista onesto, una posizione non faziosa. Escludendo la famiglia che fa quello che deve fare, da una parte ci sono quelli che ricordano solo il Corona migliore e quindi «Fabrizio è un bravo ragazzo, deve uscire», dall’altra quelli che «è un delinquente, se l’è cercata». Fabrizio è entrambe le cose e chiedere che esca dal carcere facendolo passare per un perseguitato dalla giustizia, spacciandolo per Nelson Mandela, come sottolineava polemicamente Giuseppe Cruciani qualche sera fa a Matrix, è la strada peggiore che si possa percorrere. Sono anni che chi difende Corona (nonchè lo stesso Corona) cavalca la tesi dell’accanimento giudiziario come se il povero Fabrizio fosse un povero coltivatore di radicchio sbattuto in carcere da giudici distratti con l’accusa di traffico internazionale di organi umani. Sono anni che Fabrizio e altri suoi poco credibili sostenitori, sostengono che il tribunale di Torino l’abbia condannato a 5 anni per il caso Trezeguet con lo scopo di vendicare il suo scoop su Lapo Elkann e il trans Patrizia. Che poi, pure se fosse, dal momento che il futuro di Fabrizio è in mano ai giudici, dare ai giudici dei venduti, non mi pare il massimo della strategia difensiva, a volerla dire tutta. La verità è che Fabrizio Corona il carcere se l’è cercato con tutte le sue forze (autodistruttive). È stato condannato da decine di giudici diversi e in tribunali diversi per una quantità di reati abbastanza spaventosa. È vero che non ha commesso reati terribili, che non ha ucciso, che non ha commesso crimini contro l’umanità, però di qui a definire un bravo ragazzo e un perseguitato dai giudici un cittadino che, uscito dal carcere dopo la condanna legata al filone Vallettopoli, ha subito condanne per aggressione a pubblico ufficiale, estorsione e tentata estorsione, estorsione aggravata, trattamento illecito di dati personali, detenzione e spendita di banconote false, ricettazione e detenzione di una pistola, diffamazione, evasione, truffa, corruzione e così via, mi pare una linea difensiva surreale. Tanto più che quei giudici che si sarebbero accaniti su di lui, sono anche gli stessi giudici che a Fabrizio hanno dato più di una possibilità di non finire in cella. Nessuno ricorda che nel caso Corona, la pena carceraria è stata più volte commutata in servizi sociali e misure cautelari che lo costringevano a rimanere a Milano. Misure cautelari che Fabrizio ha più volte trasgredito, andando a fare serate in discoteca in giro per l’Italia. Nessuno ricorda che per non averle rispettate, queste misure cautelari che dovevano evitargli il carcere, ha subito altre condanne. E viene da sorridere nel vedere Don Mazzi che oggi si dichiara incazzato, che definisce Corona «più convertito di me», che parla di «condanna morale» lanciarsi nella crociata pro-Corona, quando prima si lamentava di essere stato ingannato da Fabrizio , il quale anni fa, dopo due foto su Chi con lui e le dichiarazioni «Farò i servizi sociali da Don Mazzi» , sparì nel nulla. E le parole di Don Mazzi «Fabrizio verrà qui da me in comunità e potrebbe aprire un laboratorio per stampare foto, così fa quello che sa fare» rasentano il ridicolo, perché Fabrizio non ha mai scattato una foto in vita sua, per cui forse per prendere le sue parti con tanto fervore bisognerebbe almeno conoscere la sua storia. Viene da sorridere anche nel vedere la D’Urso che abbraccia la causa, la stessa D’Urso che lo denunciò per diffamazione in un fase giudiziaria già delicata per Fabrizio in cui qualsiasi condanna poteva aggravare la sua situazione. Il paradosso poi, è che alla viglia dell’arresto, Fabrizio raccontava a tutti un aneddoto: nonostante l’obbligo di non lasciare Milano, giorni prima era salito su un Frecciarossa per Roma. Si era infilato in un salottino per non farsi vedere. Lì, secondo la sua versione, ebbe la sfortuna di incrociare un’amica della D’Urso (con cui all’epoca era in guerra) che riconoscendolo, fece una telefonata non si sa bene a chi, forse alla conduttrice, forse direttamente alla polizia. Fatto sta che Fabrizio, ad attenderlo sui binari trovò la Digos. Ma viene da sorridere nel vedere che lo difendono anche suoi sedicenti amici che durante le visite in carcere gli hanno strappato delle confidenze promettendo il silenzio e poi si sono venduti lo scoop, facendo pagare a Fabrizio un caro prezzo per aver parlato troppo, forse addirittura il trasferimento ad Opera, con un regime carcerario più severo. Chi vuole davvero bene a Fabrizio dovrebbe fermarsi e riflettere su quanto tutto questo possa trasformarsi in un boomerang. C’è, in questa legittima crociata pro-Fabrizio un non trascurabile problema di pulpiti. Di strategie difensive. Non è vero che Fabrizio è una vittima e non è raccontandolo così che si fa del bene alla sua causa. Non mi sembra neanche un colpo di genio diffondere passaggi di una perizia in cui si sostiene «...il carcere gli causerebbe disturbi d’ansia con attacchi di panico e depressione, acuiti e amplificati dopo due anni in cella dove non può gratificare se stesso con gli eccessi, la grandiosità e l’assenza di vincoli e controlli», come a dire che ha bisogno di una Bentley e qualche reato per sentirsi meglio. Io ci credo che Fabrizio stia male. Del resto il carcere fa schifo, suppongo che abbia una personalità più borderline chi in carcere si trova bene. Credo, senza finti buonismi, che il carcere se lo sia cercato e meritato. Riconoscerlo, non è voler male a Fabrizio, è aiutarlo, spostando la discussione sul piano dell’onestà intellettuale. In tutto ciò, credo anche che questi quasi due anni di galera siano più che sufficienti. Credo che lo sarebbe stato anche un anno, perché un anno lì dentro deve essere un inferno. Credo che il carcere duro, accanto ai mafiosi del 41 bis sia follia. Credo che ora dovrebbe stare a casa con sua mamma, i suoi fratelli e suo figlio, anche perché ha una famiglia di persone incredibilmente perbene. E credo che gli vada data la possibilità di una redenzione, che non è quella cattolica del non fare più del male agli altri, ma quella del non fare più male alla sua vita. Perché è vero che Fabrizio non è un individuo pericoloso, ma lo è, e molto, per se stesso. di Selvaggia Lucarelli