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L'olio di palma minaccia le foreste di oranghi e tigri

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Roma, 15 ott. - (AdnKronos) - Che relazione esiste tra oranghi, tigri, biscotti e deforestazione? Apparentemente nulla: in realtà c'è un filo rosso nascosto tra alcune specie animali e i certi prodotti alimentari come merendine, biscotti snack, crackers e gelati. E' l‘olio di palma', un ingrediente contenuto nella quasi totalità dei prodotti da forno confezionati e praticamente sconosciuto a tutti perché indicato genericamente come ‘olio (o grasso) vegetale, ma il più usato al mondo dopo quello di soia con un consumo che cresce anno dopo anno. La palma (Elaeis guineensis) da cui si estrae questo olio è coltivata soprattutto in Indonesia e Malesia: questi soli due Paesi producono circa il 90% di tutto l'olio di palma usato nel mondo. Un grasso, denuncia il Wwf in occasione della Giornata Mondiale dell'Alimentazione, responsabile della distruzione di molti ambienti di foresta tropicale che attualmente costituisce una delle cause principali di scomparsa delle ultime foreste del cuore verde dell'isola di Sumatra dove vivono oranghi, elefanti e tigri e rinoceronti, tutte specie ridotte a poche centinaia di esemplari in una manciata di decenni. Questo avviene su un territorio che, fino poco tempo fa, era per lo più una foresta tropicale vergine, uno scrigno verde ricchissimo di biodiversità. Se ancora 50 anni fa, l'82% dell'Indonesia era coperta da foreste, già nel 1995 la percentuale era scesa al 52%: e al ritmo attuale, entro il 2020, le foreste indonesiane (tra le maggiori al mondo per estensione insieme a quelle dell'Amazzonia e del bacino del Congo) saranno definitivamente distrutte e con loro andranno perduti anche tutti quei servizi ecosistemici cruciali per la sopravvivenza delle popolazioni locali e della stessa biodiversità. Il Wwf lancia una campagna 'social' globale per rendere consapevoli i consumatori dei danni prodotti dalle coltivazioni intensive di palma da olio invitandoli ad informarsi e scegliere prodotti ‘oil-free'. Questa nuova iniziativa del Wwf per un consumo responsabile di prodotti alimentari si inserisce nella roadmap di avvicinamento verso l'evento Expo Milano 2015 per il quale l'associazione è Civil Society Participant. La buona notizia per i consumatori è che da dicembre di quest'anno la normativa europea obbligherà l'indicazione in etichetta di tutti i singoli oli presenti nell'alimento. Tanto l'olio di palma è sconosciuto quanto è usato: circa l'80% di tutto l'olio di palma prodotto viene utilizzato nell'industria alimentare. Sugli scaffali dei supermercati si trovano biscotti per la colazione, merendine e snack con una quantità di burro (se presente) pari all'1-2%, affiancata da una consistente quantità di “grassi vegetali” che nel 90% dei casi è costituita da olio e grasso di palma. “In attesa che l'industria alimentare faccia la sua parte, riducendo il più possibile il contenuto di olio di palma dei suoi prodotti, sta a noi consumatori scegliere consapevolmente", dichiara Isabella Pratesi, responsabile del programma di Conservazione internazionale del Wwf Italia. Secondo Gianfranco Bologna, direttore scientifico del Wwf Italia, "la responsabilizzazione deve riguardare tutta la filiera produttiva, dai produttori, ai distributori, ai consumatori finali, a noi tutti". In quest'ottica, Wwf chiede con forza alle aziende utilizzatrici di olio di palma di agire con responsabilità impegnandosi a raggiungere entro il 2015 il 100% di approvvigionamento di olio di palma certificato secondo i criteri della Roundtable on Sustainable Palm Oil (Rspo), quale primo importante passo verso una maggiore sostenibilità del mercato (www.rspo.org) L'Indonesia tra il 2000 e il 2013 ha più che triplicato l'estensione delle coltivazioni di palma da olio, continuando a devastare il secondo patrimonio di foreste tropicali del pianeta: il risultato di questa deforestazione, delle azioni realizzati per attuarla, delle irrigazioni massicce e dei metodi di coltivazione, in un paese che produce circa la metà dell'olio di palma venduto nel mondo, essendo passato da una produzione di circa 168.000 tonnellate nel 1967 ai 16,2 milioni di tonnellate nel 2006, si traduce anche nel peggioramento della qualità delle acque confinanti con le piantagioni, con effetti di una portata non ancora chiara, finora sottovalutata e potenzialmente molto grave. Quello che preoccupa è che crescono i piccoli produttori, le piccole piantagioni che arrivano ad interessare anche le aree protette, ad erodere gli ultimi rifugi per elefanti e tigri, a troncare ogni collegamento tra le ultime aree forestali che possono ancora ospitare questi animali distruggendo gli ultimi corridoi si distrugge così anche la possibilità di interscambio tra le varie popolazioni animali destinandole ad un processo di estinzione più rapido.

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