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I sacchetti della discordia: tutte le bufale sugli shopper bio

Ambiente

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Roma, 3 gen. - (AdnKronos) - Nuova stangata ai danni dei consumatori, ennesimo favore politico a un imprenditore. I nuovi sacchetti biodegradabili e compostabili a pagamento, entrati in vigore dal 1 gennaio 2018 per imbustare ortofrutta, carne, pesce, pane, dividono gli italiani che si scatenano, soprattutto sui social. C'è chi li sostiene e chi, invece, ha molti dubbi al riguardo, e non aiutano alcune affermazioni che circolano in queste ore: dalla cosiddetta 'tassa occulta' alla questione del monopolio di Novamont, azienda a cui si deve l'invenzione del Mater-Bi. "Polemiche da campagna elettorale - secondo il direttore generale di Legambiente Stefano Ciafani - Sarebbe utile che ci si preoccupasse dei cambiamenti climatici e dell'inquinamento causato dalle plastiche non gestite correttamente, e che si accettassero soluzioni tecnologiche e produttive che contribuiscono a risolvere questi problemi". Legambiente prova a fare chiarezza. A partire dalla questione 'tassa occulta'. Da sempre i cittadini pagano in modo 'invisibile' gli imballaggi che acquistano con i prodotti alimentari ogni giorno, la differenza è che dal 1 gennaio, con la nuova normativa sui bioshopper, il prezzo di vendita del sacchetto è visibile e presente sullo scontrino. "Nessun produttore o nessuna azienda della grande distribuzione - sottolinea l'associazione - ha mai fatto ovviamente e naturalmente beneficenza nei confronti dei consumatori". Altra "bufala", la questione del monopolio di Novamont, "una fantasia di chi non conosce il mercato delle bioplastiche", sottolinea Legambiente. In Italia si possono acquistare bioplastiche da diverse aziende della chimica verde mondiale e nel mondo ci sono almeno una decina di aziende chimiche che producono polimeri compostabili con cui si producono sacchetti e altro. Sarebbe invece opportuno ricordare che, tra le principali aziende della chimica verde, una volta tanto l'Italia vanta una leadership mondiale grazie a una società che è stata la prima, 30 anni fa, a investire nel settore riaprendo, negli ultimi 10 anni, impianti chiusi riconvertendoli a filiere che producono biopolimeri innovativi che riducono l'inquinamento da plastica. Per quanto riguarda il riutilizzo di sacchetti monouso, il problema si può superare con una circolare ministeriale (Ambiente e Salute) che permetta in modo chiaro, a chi vende frutta e verdura, di far usare sacchetti riutilizzabili, come ad esempio le retine, pratica già in uso nel nord Europa. In questo modo, si garantirebbe una riduzione del consumo dei sacchetti di plastica, anche se compostabile, come già fatto con quelli per l'asporto merci che, grazie al bando entrato in vigore nel 2012, sono stati ridotti del 55%. "È ora di sostenere e promuovere l'innovazione che fa bene all'ambiente, senza dimenticare di contrastare il problema dei sacchetti di plastica illegali. Circa la metà di quelli in circolazione sono infatti fuorilegge - ricorda Ciafani - un volume pari a circa 40 mila tonnellate di plastica, e una perdita per la filiera legale dei veri shopper bio pari a 160 milioni di euro, 30 solo per evasione fiscale”.

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