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Amadeus, "niente politica a Sanremo"? Tutti i nomi che dimentica

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Enrico Paoli
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L’ironia, si sa, è un’arma straordinaria (se maneggiata con cura, sia chiaro...). Soprattutto quando si vuol condire una pietanza già pronta con spezie raffinate. «Un sesto Sanremo con Amadeus? Quell’uomo mi fa paura, roba da Stephen King», ironizza sui social Fiorello, compagno di avventura del conduttore di Sanremo e mattatore non protagonista della competizione canora. E Fiorello non dice mai le cose a caso. Ma se Fiore va sempre a tempo, la stessa cosa non si può dire di Amadeus, avendo infilato una stecca, dopo un profluvio di suadenti note inanellate con le precedenti edizioni, essendo il pezzo migliore sulla piazza televisiva.

Chiacchierando con il quotidiano La Repubblica (che ha tradotto tutto in un’intervista) Ama ha affermato che «la politica deve stare lontana da Sanremo». Ma pensate... E lo stupore non è tanto per l’affermazione in sé, quanto per la furbizia intrinseca della frase. Fuori la politica dal Festival, che a fare il politico ci penso io... Un po’ come un moderno Socrate. Il grande filosofo greco affermava di non essersi dedicato alla vita politica nel senso istituzionale del termine, perché «non c’è nessuno che si possa salvare, se si oppone autenticamente a voi o a un’altra maggioranza», dimostrando, però, di essere portatore di una politica alternativa. Perché Amadeus non è certo una mammoletta, un candido fiore bianco in mezzo al bosco, e la politica dentro ai suoi Sanremo c’è stata eccome.

 

 

E da grande professionista qual è, lo sa bene. D’altro canto quante volte, negli ultimi quarant’anni, vi sarà capitato di sentir dire, o di leggere, «via la politica dalla Rai», senza aver mai visto uscire qualcuno da Viale Mazzini? Siamo seri, su. Ma se a un solo mese dall’inizio del suo quinto Sanremo consecutivo Amadeus confeziona questa perla di saggezza («Il Festival è il più grande appuntamento musicale del Paese e chiunque lo fa, deve farlo in assoluta indipendenza. Dichiaro per chi faccio il tifo, non ho mai dichiarato per chi voto. Se sono stato attaccato da destra e da sinistra vuol dire che sono una persona libera») significa che della politica sente la mancanza, se non addirittura la compiacenza.

I PRECEDENTI
Riavvolgiamo il nastro, a beneficio di quanti hanno la memoria corta. Nel corso di questi anni, dal 2020 ad oggi, Amadeus ha ospitato sul palco dell’Ariston, e li citiamo in ordine sparso, Roberto Benigni e Roberto Saviano, Fedez e Rula Jebreal, Barbara Palombelli e Giovanna Botteri, senza dimenticare Pierfrancesco Favino e Chiara Ferragni («Chiara è una professionista dedita al lavoro, è successo un corto circuito che non conosco»), passando per Francesca Fagnani e Paola Egonu. Sì, certo Amadeus ha chiamato anche la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, fischiata a Nizza per le sue simpatie di centrodestra. Ma la bilancia delle ospitate, come s’intuisce, non è affatto in equilibrio. Tutt’altro.

 

 

Anche perché la comparsata della Jebreal, con il monologo sulle donne, o il testo non consegnato da Fedez alla Rai, nel quale il consorte della Ferragni sosteneva Rosa Chemical criticato in parlamento da un esponente di Fratelli d’Italia, con tanto di attacco personale nei confronti dell’onorevole Galeazzo Bignami, o la presunta orazione civile di Saviano incentrata su Falcone e Borsellino, non sono episodi caduti dal cielo, ma il frutto di una precisa scelta fatta dal conduttore che li ha invitati. Se la politica, oggi, deve stare fuori da Sanremo, perché allora non lo è stata, ma vi entrata dalla porta principale? La contraddizione non è solo evidente, ma fa a pugni con la realtà. «Quando prendo una decisione penso solo al bene del programma, non a farmi delle amicizie che possono tornarmi utili. Mai fatto nella vita, non comincio a farlo a 61 anni», dice a Repubblica Amadeus, che ha ottenuto garanzie dai vertici aziendali.

VERTICI RAI
All’amministratore delegato della Rai, Roberto Sergio, il conduttore ha chiesto «solo la stessa identica autonomia e libertà. E lui, un uomo di prodotto, ha fatto la radio, mi ha detto: “Hai fatto 4 festival perfetti, hai la totale autonomia e libertà di fare anche il quinto”. L’ho ringraziato e non mi ha mai chiesto nulla, lavoro in autonomia. Anche il direttore del Prime time, Marcello Ciannamea, la pensa così». Anche la cosa apparentemente più impolitica, ovvero la conferma dell’autonomia, diventa terribilmente politica. Tanto da farti venire il sospetto che, fino ad oggi, Amadeus tutta questa libertà di manovra non l’avesse affatto. Torna alla mente la lezione di Hannah Arendt, la storica e filosofa tedesca naturalizzata statunitense, una dei più influenti teorici politici del XX secolo, che contrapponeva il suo concetto alto, eppure non utopico della politica: «Il senso della politica è la libertà». Amadeus vi si avvicina molto, furbescamente. O, forse, solo saggiamente, pensando già all’edizione numero sei del Festival di Sanremo. Che non è mai stata una cosa neutra, e mai lo sarà. «Ho promesso all’azienda di dare una risposta sul sesto, il fatto che me lo chiedano mi fa piacere e mi rende orgoglioso, ovviamente. Per una questione di rispetto, il giorno dopo ci metteremo seduti con la Rai e affronteremo il tema», spiega Amadeus. E quello, comunque vada, sarà un bel giorno, considerando Ama un ottimo professionista, e la Rai un’azienda da tutelare. Politica o non politica...

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