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Daniele Gatti: "Devo tutto all'Italia, il detto 'nemo propheta in patria' non fa per me"

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Roma, 31 gen. (AdnKronos) - di Pippo Orlando "Voglio dedicare il mio tempo all'Italia perché mi ha dato la formazione con le migliori scuole, la mia carriera è cominciata qui e questo Paese mi ha sempre voluto bene. Il detto 'nemo propheta in patria' non fa per me". Così Daniele Gatti conversando con i giornalisti alla vigilia del suo ritorno sul podio dell'Orchestra e del Coro dell'Accademia di Santa Cecilia (all'Auditorium Parco della Musica domani ore 19,30, con repliche venerdì alle 20,30 e sabato alle 18) per il proseguimento del 'progetto' dedicato a Robert Schumann. Il maestro milanese ha infatti diretto nel marzo del 2016 la prima e la terza sinfonia del compositore tedesco, e domani alzerà la bacchetta sulla seconda, la quarta e sul 'Nachtlied'. "Attualmente - ricorda Gatti - ho il Concertgebouw di Amsterdam (di cui è Chief Conductor dal 2016, ndr), la Mahler Chamber Orchestra e un rapporto molto stretto con i Filarmonici di Berlino. Ma voglio mantenere una collaborazione solida con le istituzioni italiane che mi hanno dato tanto, dall'Accademia di Santa Cecilia, dove sono stato direttore stabile per cinque anni (dal 1992 al 1997, ndr), al Teatro Comunale di Bologna, dove ho scelto di andare perché volevo dirigere in un teatro e per il quale ho dovuto lasciare Santa Cecilia, dato che in Italia non si possono avere due posizioni stabili". Gatti insomma è uno dei direttori italiani più richiesti all'estero, ma sempre presente nelle istituzioni italiane: "Con me non si può dire che tutti i musicisti italiani sono andati via". Il maestro milanese ricorda anche il suo impegno con il Teatro dell'Opera di Roma: "Non potevo diventarne direttore musicale, ma con il sovrintendente Fuortes abbiamo trovato la formula delle tre aperture che credo sia un buon volano per il teatro", dice, sottolineando le tre scelte fatte per l'apertura del 2016-2017 ('Tristan und Isolde' di Wagner), quella scorsa ('La damnation de Faust' di Berlioz) e la prossima della stagione 2018-2019 che sarà "'Rigoletto', un'opera di repertorio ma che si presta a una lettura nuova. Con Santa Cecilia vedremo cosa si prospetterà per il futuro". Quanto alla sua lettura delle sinfonie di Schumann, come aveva già chiarito due anni fa in occasione dell'esecuzione della prima e della terza a Santa Cecilia, Gatti ribadisce "di avere fatto un lavoro di alleggerimento degli organici per rendere quella trasparenza e luminosità che la musica del compositore tedesco contiene". Schumann è spesso accusato di scrivere in maniera imperfetta per l'orchestra. Un'accusa assurda secondo Gatti: "All'epoca i musicisti erano preparatissimi nella scrittura orchestrale, e avevano una velocità straordinaria. Schumann ha composto il 'Nachtlied' in ventiquattr'ore e pochi giorni dopo era già orchestrato. Scriveva le sue sinfonie di getto; la prima la scrisse per l'orchestra di Dusseldorf della quale lamentava una scarsa qualità. Proprio per sopperire ai limiti dei musicisti raddoppiò le parti affidando, ad esempio, ai legni anche le frasi dei violini. Alleggerendo gli organici questo si capisce bene". Quello che il maestro milanese tiene a evidenziare di Schumann è il suo legame con "Beethoven e in questa prospettiva va eseguito, anche rivedendo i tempi esecutivi che richiedono una velocità maggiore, a differenza di quanto si è fatto in questi anni in cui lo si è 'brucknerizzato' o 'brahmsizzato'". Infine, sottolinea ancora il direttore d'orchestra, "Schumann è un poeta che innerva le sue composizioni con melodie pure, lineari, una specie di sottotesto. Melodie che procedono per grado congiunto come una frase pensata per il canto. Quelle di Beethoven, invece, si stagliano sull'armonia principale: le note di un suo tema sono quelle che compongono l'accordo. Questa è una differenza sostanziale cha fa di Schumann un poeta e non un titano, come invece lo era Beethoven", conclude Gatti.

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