Serie A, la rivoluzione mancata degli Under 21
I giovani italiani in A sono come i panda, pochi e in rapida via d'estinzione. Non solo non se ne vedono tanti (solo 23 in campo nelle prime 16 giornate), ma sono pure pochissimi gli esordienti assoluti e ancora meno quelli che si ritagliano uno spazio importante. Come se servisse, un ulteriore messaggio di allarme. Sono 14 infatti gli under 21 (nati dopo il 1993) che hanno esordito da agosto in serie A. Da Daniele Rugani (Empoli) ad Accursio Bentivegna (Palermo), quattordici giovani che potrebbero rappresentare il futuro. Peccato che però di questi 14 la metà sia sotto i 90' disputati e in 10 non raggiungano il 50% dei minuti totali. Rugani, classe 1994 e in orbita Juve, fa meglio di tutti non avendo saltato ancora nemmeno un minuto (1440' e due gol) con i toscani. Alle sue spalle ci sono Alessio Cragno, portiere del Cagliari (1994, 1260'), e Lorenzo Crisetig, centrocampista sempre dei sardi (1993, 998') ma di proprietà dell'Inter. Bene poi anche Andrea Belotti, centravanti del Palermo (1993, 618' e 3 reti) in grande crescita e già nel mirino delle big italiane. Per il resto soltanto scampoli di gara, dai 228' dell'empolese Barba (1993) all'unico minuto disputato dal rosanero Bentivegna (1996), passando per i 180' del veronese Gollini (1995) e i positivi 109' di Federico Bernardeschi (1994), nuovo talento della Fiorentina, prima di infortunarsi. Bilancio scarso, che migliora leggermente solo se si considera anche chi esordiente non è (ma è under 21), come Berardi del Sassuolo o Bonazzoli dell'Inter. Al contrario, stona che ben 6 squadre su 20 non abbiano ancora utilizzato un giovane italiano. Il problema quindi qual è: sono i nostri ragazzi scarsi oppure sono i club che non credono in loro? La risposa è difficile da dare. Secondo Roberto Samaden, responsabile del settore giovanile dell'Inter, intervistato da Libero nei giorni scorsi, non c'entra il livello dei giocatori, «i club italiani sono comunque prolifici. Penso a Bonucci, il quale però ha dovuto fare qualche anno di percorso “alternativo” tra C e B prima di diventare colonna della Juve». La soluzione? «Le seconde squadre, con la loro introduzione questa difficoltà verrebbe azzerata. Ad oggi manca un ponte tra la Primavera e la Serie A». Problema oggettivo, i ragazzi non sono pronti per la massima serie. Difficoltà che all'estero non conoscono, avendo introdotto soluzioni già da qualche anno. Basti pensare alla Germania o alla Spagna, dove le squadre B giocano nei campionati professionistici (il Barcellona B ad esempio gioca in Segunda Division). Le difficoltà stanno quindi nel salto dal settore giovanile al calcio vero. Ma i numeri parlano anche di altro: secondo il Cies Football Observatory infatti solo il 9,6% dei giocatori impegnati nei 5 migliori campionati europei arriva dalla nostra serie A, contro una media del 17%. Nelle prime 5 squadre d'Europa soltanto 5 sono italiane e tra i migliori riesce ad inserirsi soltanto l'Atalanta, nona con 22 giocatori (di cui 5 ancora nel club e 17 nel resto del continente). A seguire Inter (18), Roma (17), Empoli e Milan (14), per un totale di 23 giocatori usciti dal vivaio ancora nei club in questione e 62 invece che hanno lasciato la società che li ha cresciuti. Dimostrazione che i settori giovanili faticano comunque a produrre giocatori adatti ai massimi livelli. Le squadre B possono risolvere comunque gran parte del problema, ma servirebbe anche una mentalità diversa. E in Italia questa è la cosa più difficile. di Matteo Spaziante