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Alberto Gilardino, il bomber operaio che segna come Van Basten: la nuova vita con lo Spezia

Andrea Tempestini
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Non esiste un punto di partenza esatto se si sceglie di raccontare Alberto Gilardino. Si può ugualmente partire dalla fine, cioè dal gol del 2-1 segnato con lo Spezia al Cittadella, un gesto tecnico armonico che ha ricordato il gol di Van Basten contro l'Urss all'Europeo dell'88, e dall'inizio, cioè da quel Piacenza-Milan del 6 gennaio 2000. E non per una trentina di minuti che quel 17enne sbarbato avrebbe collezionato ringraziando la fiducia di mister Maurizio Braghin, ma per una frase di Costacurta. «Da dove salti fuori? Chi sei?». Si chiamava Alberto e veniva da Biella. Juventino, faceva l'attaccante da sempre. Simoni l'aveva portato in prima squadra nel dicembre '99 (per rimpiazzare Simone Inzaghi). PABLITO NEL DESTINO Gila, nato il 5 luglio del 1982, cioè quando Paolo Rossi segnava la tripletta al Brasile che valeva la semifinale all'Italia, avrebbe fatto il primo gol in A il 25 marzo 2000 al Venezia dopo 120 secondi: un destro da fuori area, non proprio un gol nelle sue corde. Più o meno dalla stessa posizione dell'assist a Del Piero a Dortmund contro la Germania nel 2006. Quella è un'altra storia, sì, ma quando di mezzo c'è Gilardino, è inevitabile che i ricordi si sovrappongano. Perché è stato più o meno ovunque nella sua carriera, e dappertutto ha lasciato impronte. I soli 5 gol col Verona nei due anni successivi, comunque, resero nuovamente attuale la domanda di Costacurta: chi era Gilardino? Si sarebbe rifatto a Parma. Piano, piano: il primo anno in disparte, chiuso da Adriano e Mutu. Nel biennio seguente l'exploit con 47 gol in 73 presenze, e per sempre grazie a Prandelli. Quindi, il Milan, un primo anno da immortalare. Nel 2005 giocò e segnò nonostante Sheva, Vieri e Inzaghi: 19 gol. L'estate successiva vinse il Mondiale tedesco, il suo apice: il gol agli Usa e quell'assist a Del Piero che spiega bene chi fosse Gilardino. È stato, ed è, un attaccante normodotato. Uno che prima di alzare al cielo la Coppa del Mondo (e la Champions col Milan) era stato capocannoniere della storia dell'Under 21, con cui aveva vinto un Europeo nel 2004. Ha reinventato lo status del centravanti operaio, nobilitando la professione coi gesti tecnici, ancora pregevoli, e con la mimica. Di bell'aspetto, schivo ed educato, mimava sviolinate (esultanza nata a Parma, durante una cena con l'amico Marco Marchionni) dopo ogni gol. I momenti grigi, quelli sì, ci sono stati. In questo Gilardino è stato provinciale, nel saltare talvolta nel buio. ALTALENA Gli ultimi anni al Milan sono stati un'altalena, proprio perché Pippo segnava persino di fondoschiena (vedi Atene 2007). Eppure Gila era in condizione, aveva fatto gol in semifinale allo United, ma in finale era stato a guardare. Sarebbe rimasto altri due anni a Milano, «i più bui». Dopo il Milan è rinato nella Fiorentina «un sollievo». Riecco Prandelli e 19 gol in campionato. Di cui uno indimenticabile alla Juve: riceve in area, liquida Mellberg e batte Buffon in girata. La quintessenza di Gila. In Toscana è rimasto fino al 2012, sempre in doppia cifra, poi il lungo girovagare: Bologna, Genoa, Cina (al Guangzhou da Lippi), Fiorentina, Palermo, Empoli, Pescara. La Liguria l'ultima tappa del nomade violinista, giovedì l'assolo geniale: lancio di Marilungo, coordinazione perfetta, collo destro al volo sul palo lontano. E prima era arrivata una rete di nuca. Cittadella ko e prima, cruciale, doppietta in B. A quasi 36 anni Alberto è ancora un ragazzo. I sorrisi sono rari, i ghigni appassionati. Non è Van Basten né Inzaghi, della sua normalità ha fatto anzi un paradigma: Gila non somiglia a nessuno ma nessuno somiglia a Gila, nobile di provincia. di Alberto Neglia

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