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Maurizio Sarri, quando rovinò il Natale alla Juventus: una "macchia" nel passato del mister

Davide Locano
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Chissà se avrebbe mai immaginato, Maurizio Sarri, di sedere un giorno sulla panchina della Juventus, quando il suo Arezzo sfidò i bianconeri all' Olimpico di Torino il 22 dicembre 2006. La Vecchia Signora stava vivendo l' annata più buia della propria storia, quella della Serie B dopo Calciopoli, mentre il tecnico toscano era subentrato in corsa all' ex juventino Conte alla guida degli amaranto per inseguire una salvezza complicata. Fu così che il semi sconosciuto Sarri mandò il panettone di traverso a Del Piero e compagni, strappando loro un pari insperato in rimonta, da 0-2 a 2-2, e sfiorando persino la vittoria nel finale. Quel punto non sarebbe però bastato a Sarri per salvare la panchina, poi riconsegnata a Conte, e all' Arezzo per evitare la retrocessione in C. Leggi anche: Juventus, inizia la rivoluzione-Sarri: ecco in che modo Tredici anni dopo, quell' allenatore allora emergente, che aveva collezionato più esoneri che trofei, si ritrova, forse un po' per caso, al timone della Juve, accolto con scetticismo e diffidenza dai tifosi che sognavano Guardiola e rimpiangono Allegri. Ma cosa sanno di Maurizio Sarri i supporters bianconeri? Gli puntano il dito contro per la sua lunga gavetta sui campi brulli e pietrosi delle categorie inferiori, ignari che quegli anni vissuti ai margini del calcio che conta hanno forgiato il suo carattere e plasmato la sua idea di gioco. Un gioco moderno, offensivo, spiegato e insegnato ai suoi calciatori attraverso esercizi ripetuti allo sfinimento: si narra che, ai tempi del Sansovino, in Eccellenza, Sarri adottasse sino a 33 schemi su palla inattiva e a chi gli chiedeva quanti fossero in realtà, lui rispondeva che non erano proprio 33, ma di certo più di 30. Non ha giocato ad alti livelli (ma neanche Sacchi e Mourinho), ma il "Secco", così lo avevano ribattezzato per la sua figura alta e allampanata, osservava tutto quel che accadeva in campo e al termine di ogni partita lo annotava puntualmente sull' immancabile quadernetto. Non solo tattica, però, anche tanta scaramanzia: raccontano che una volta non si presentò agli allenamenti, perché, nel tragitto da casa al centro sportivo, un gatto nero gli aveva tagliato la strada; così, lui fermò l' auto e decise che non sarebbe ripartito finché non fosse passata un' altra macchina. Purtroppo quel giorno, di lì, non passava un cane... E poi le sigarette, le Merit, sempre quelle, una via l' altra. E quella tuta, che indossa come una seconda pelle e non si è più sfilato dal giorno in cui ha appeso nell' armadio il completo da consulente bancario. Almeno fino ad oggi... di Gabriele Cantella

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