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Gianluca Vialli, il retroscena: come ha conquistato Marcello Lippi

Luca Beatrice
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Appena quattro giorni fa lo striscione allo Zini di Cremona, il suo primo stadio: «Luca Vialli facci un gol». E poco più di un mese, l'ultima volta a Torino per il TFF dove si presentava La bella stagione, il film di Marco Ponti sulla Sampdoria dello scudetto. Doveva e voleva esserci, stanco, smagrito, commosso da tanto affetto, vicino a lui l'amico di sempre, il Mancio. Nonostante quell'impresa segni un momento irripetibile nel calcio italiano, oggi è impossibile che una piccola squadra vinca il campionato, Gianluca Vialli è stato soprattutto un giocatore della Juventus, avendone incarnato spirito, senso del dominio e della lotta, abnegazione, mai domo nell'arte e nella vita, proprio così fino alla fine e davvero non è un modo di dire.

L'arrivo a Torino, tuttavia, non fu semplice per il centravanti intelligente e riccioluto: lui, strapagato, lo sapeva che il tempo delle coccole era finito, che sarebbe uno dei tanti campioni, che la stampa ci avrebbe letto un certo dualismo con Roby Baggio. Stranamente il Trap non lo capi subito, qualcosa non funzionava, giocava troppo lontano dalla porta, talvolta persino a centrocampo. Il tempo di Genova era lontano, qualcosa doveva cambiare, il paesaggio e l'umanità di Torino sono ben più duri; a un certo punto in bianconero nacque un altro Vialli, simboleggiato dal cranio rasato che negli anni '90 era ancora una rarità, giusto Bruce Willis e lui potevano permetterselo restando dei sex-symbol. E poi l'aumento del tono muscolare, una nuova potenza atletica e fisica, dove qualcuno ha visto e detto male ma Luca che conosceva metodi e preparazione di gente seria liquidò corto il retropensiero e le insinuazioni: «Coglionate terroristiche».

Nei primi due annidi Vialli la Juve del Trap richiamato dopo il tonfo del calcio champagne, vinse "solo" la Coppa Uefa. Luca fece il suo ma a fargli ritrovare lo spirito guerriero fu l'arrivo di Marcello Lippi, voluto da Umberto Agnelli e dalla Triade Moggi-Giraudo-Bettega per colmare un tempo eterno di nove anni senza scudetto. Il viareggino che somiglia a Paul Newman e fuma il sigaro capisce che in quella squadra assetata di rivincite c'è un leader, lo promuove capitano, gli mette al fianco il tenace Fabrizio Ravanelli, uno che correva per tre, e il giovanissimo fuoriclasse Alex Del Piero, ovvero il predestinato. Complice un infortunio, Baggio si accomoda in tribuna: con Lippi certe prime donne non hanno mai funzionato. Di quella squadra fantastica, forse la più spettacolare dell'epoca contemporanea, diverse immagini restano incise nella memoria. Ne scelgo due. È l'autunno 1994, allo Stadio delle Alpi la Juve perde 0-2 dopo il primo tempo contro la Fiorentina. Nello spogliatoio accade qualcosa. Alla ripresa Vialli segna il gol dell'1-2, raccoglie la palla dalla rete e corre rapido verso il centrocampo. Fotogramma da cineteca di uno spirito indomito, lo spirito Juventus e non è affatto un luogo comune. Ne segnerà un altro, poi arriverà il capolavoro in mezza girata di Del Piero. 3-2, è nata la Juve di Lippi e quella partita dovrebbero farla studiare nelle scuole calcio come esempio di ciò che qualcuno ha e altri no, sia che bianconero ci nasci come Alex sia che lo diventi come Luca.

Nel maggio del '96 all'Olimpico di Roma con la fascia da capitano, lo sguardo feroce e l'espressione stravolta Luca Vialli alza al cielo la Champions League. Il capitano dell'ultima coppa che ci manca da oltre un quarto di secolo e sarà anche per questo che a quella squadra siamo legati a doppio filo, a Peruzzi che para i rigori e a Jugovic che segna l'ultimo, ai faticatori Torricelli e Di Livio, allo sfortunato Padovano, a Deschamps e Conte che in maniera diversa avrebbero continuato a scrivere la nostra storia. Davvero il calcio è metafora dell'esistenza e pochi giorni dopo il trionfo, Luca Vialli parte destinazione Londra dove continuerà a vincere e dove sarà tra i primi calciatori-allenatori, tanto al Chelsea ne apprezzarono competenza e carisma. Ogni storia ha un ciclo, ma questa storia, quattro anni appena, restituisce il senso di una vita intera.

Non solo perché Luca Vialli, dopo Roberto Boninsegna bianconero per caso e prima di David Trezeguet, è stato il più forte centravanti juventino a mia memoria diretta, ma perché ha rappresentato tutto ciò che sempre vorremmo vedere in un campione. Fedeltà, attaccamento alla maglia, spirito condottiero, uno che prende per mano gli altri dieci e li porta alla vittoria. Lo piango inconsolabile. Con lui se ne va uno degli ultimi pezzi della mia giovinezza in cui sono stato tanto felice grazie al Capitano mio Capitano e agli altri campioni con indosso la mia maglia più impregnata di sudore e lacrime della pelle stessa. Un tempo che non tornerà più.

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