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Jannik Sinner, Omar Camporese: "Immenso, ma il difficile arriva ora"

Leonardo Iannacci
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Negli Open d’Australia Sinner sta divorando chiunque cerchi di intralciargli il cammino. I malcapitati Van de Zandschulp, De Jong e Baez ne sanno qualcosa. Di Jannik e di altro parliamo con Omar Camporese, talentuosa racchetta azzurra negli anni ’90 (arrivò al numero 18 Atp), ora professore di tennis al Green Garden di Mestre e opinionista Rai.

Omar, questo Sinner sorprende anche lei?
«Beh, certo. Dimostra una forza e una naturalezza nel gioco che fa ben sperare per il prosieguo del torneo. Però siamo agli inizi e, negli Slam, i giochi veri si fanno nella seconda settimana».

Dove la impressiona Jannik?
«Nelle cifre: contro Baez, pur sempre numero 26 al mondo, ha servito il 54% di prime palle, ha messo in campo 34 vincenti contro 13 e ha concesso solo 4 palle break».

 

 

 

Il suo segreto?
«Quando si sveglia alla mattina, anche dopo una grande vittoria, si guarda allo specchio e pensa: oggi cosa devo perfezionare?».

Diamo i voti al suo tennis?
«Diritto e rovescio 10 pieno, servizio 8, gioco a rete 7, forza fisica 9, forza mentale 9».

Dove ha fatto il salto di qualità, negli ultimi mesi?
«Nel servizio: a Wimbledon perse contro Djokovic perché non era ancora supportato dall’obice nel braccio».

Quanto conta un servizio importante?
«Fa giocare più rilassati se un altro colpo difetta in precisione o potenza. Una prima palla buona toglie parecchie ansie».

Sinner ha fatto il vero salto di qualità durante le Finals torinesi e in Davis?
«Lì è diventato un fenomeno popolare. Giocando sul veloce indoor, la superficie preferita e in partite due set su tre, ha toccato l’apice. Diciamo la verità: Sonego e Arnaldi sono stati bravi ma la Davis l’ha vinta lui, ha fatto la differenza a Malaga battendo Djokovic».

Lei non si sta facendo ammaliare troppo da Jannik.
«Proprio perché lo ammiro moltissimo. Avendo giocato ad alti livelli e battuto gente che si chiamava Lendl o Edberg, posso assicurare che la vetta della montagna, cioè il numero 1 Atp, è un obiettivo affascinante ma difficile. Jannik è già numero 4. È sull’ottima strada, gli mancano pochi metri».

 

 

 

Per arrivare al numero 1 cosa deve limare?
«Qualche piccolo dettaglio. Magari alzare il livello del gioco a rete».

E per vincere uno Slam?
«Reggere partite tre set su cinque per due settimane. Lo scorso anno ha avuto cedimenti. Non pensiamo che dopo questi primi turni sia già fatta».

Djokovic e Alcaraz vincono ma senza la naturalezza di Sinner. Segnali?
«A 37 anni Nole si prende della pause e conserva le forze per la seconda settimana. Se si arrabbia in campo anche contro gli spettatori che fischiano, lo fa per caricarsi. Alcaraz ha battuto Sonego che non è certo un avversario facile».

Berrettini è di nuovo nel tunnel: danno la colpa degli infortuni a Melissa Satta. In che mondo viviamo?
«Di deficienti. Matteo ha un dolore al piede, sta cercando faticosamente di rimettersi in gioco e indicano la fidanzata come causa dei suoi problemi: assurdo».

Musetti resta un inquietante mistero. Come risolverlo?
«Io sono innamorato del suo tennis che è poi il mio: rovescio a una mano, gesti classici, una tecnica completa. Però mi fa arrabbiare quando lo vedo giocare tre metri fuori dal campo. Si avvicini. A quella distanza sciupa l’enorme talento». 

 

 

 

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