Giovanni Galeone è stato un allenatore di calcio. Anzi, dl bel calcio. Ha allenato a suo tempo Napoli, Udinese, Perugia e, a varie riprese, il Pescara dove aveva, come giocatori, Max Allegri e Gian Piero Gasperini. È napoletano di nascita ma vive a Udine e osserva, come un marinaio d’altri tempi, i venti che spingono le imbarcazioni di tre tecnici che considera figliocci: Allegri e Gasperini, appunto, e Gennarino Gattuso. «Ma sono stati miei giocatori anche Federic Massara e Riccardo Goretti. Due diesse che vorrei sempre nella mia squadra, fossi l’allenatore o il presidente», dice.
Galeone, partiamo proprio dal ct?
«Eh, grande Ringhio. Lo feci debuttare a 16 anni in serie B e a 17 in A. A Perugia. Ricordo che era fantastico, non aveva paura di nessuno e, nella Primavera picchiava già come un fabbro i senatori della prima squadra. Un ragazzo d’oro ma in campo si trasformava. Non pensavo di vederlo alzare la coppa del mondo nel 2006».
Pessimismo cosmico, il suo.
«No, realismo puro. Oggi, in Italia, il calcio ha perso completamente la propria identità oltre a non avere talenti. Un tempo, se non avevi grandi interpreti, ti affidavi al catenaccio, un marchio tutto nostro. Oggi, non si fa più neppure quello perché non si sa difendere».
Rimedi?
«I settori giovanili da santificare, occorre insegnare ai ragazzi i fondamentali. Oggi fanno fare gli schemi ai bambini, con i birilli».
I Zaniolo e i Chiesa sono recuperabili per la nazionale?
«Forse. Ma li ritiene talenti?».
Capito. Ma ci andiamo ai mondiali?
«Non vinciamo una Champions dal 2010 e da due mondiali siamo fuori. Cosa le debbo rispondere? La Norvegia è onestamente più forte di questa Italia. Povero Ringhio».
Passiamo a un altro suo pupillo: Max Allegri.
«Ha mangiato una minestra riscaldata con il Milan e rischia. Non avrà lo stesso Milan di anni fa quando allenava Ibra, Seedorf o Cassano. Gli voglio bene ma non lo sento da tempo. Però Max ha un vantaggio rispetto agli altri tecnici approdati al Milan che hanno fallito pur avendo, lo scorso anno, una squadra forte».
Ovvero?
«Intuendo bene i momenti della partita, adatterà i giocatori al contesto. Non li obbligherà a essere parte di un contesto».
Arrigo Sacchi non sarebbe d’accordo.
«E difatti non ne azzecca più una, Arrigo. Ha detto che l’Inter poteva fare i triplete e, ora, sostiene che il Napoli è vicinissimo al bis tricolore. Fossi in Conte mi toccherei l’argenteria».
Ma il Napoli sta facendo una squadra di grande livello.
«Quello sì, De Bryune è un giocatore internazionale, Lucca un ragazzone utile al gioco di Conte. Previsioni di Sacchi a parte, è la favorita».
E l’Inter?
«Buona l’idea Lookman, salta l’uomo e segna. Diciamo che dopo il desolante finale di stagione durante il quale ha gettato dalla finestra uno scudetto e perso, sfiancata, la Champions, ora sta ricostruendo bene».
Perché quel crollo finale?
«Bisogna essere dentro alle situazioni. Però radio-calcio mi aveva riferito che la moglie di Simone Inzaghi si era recata in Arabia quattro mesi prima della fine del campionato per definire il contrattone».
Nella Juventus Tudor avrà un compito complicato.
«Faticherà, però recupera Bremer dietro e David è un ottimo acquisto. Il problema è Vlahovic: ho sempre amato i calciatori croati o serbi, quelli il cui cognome finisce in “ic”. Ma Dusan è tecnicamente a zero, non riesce a stoppare un pallone. E guadagna un milione al mese. Per questo dico: i fondamentali vanno curati sempre».
Altro suo figlioccio: Gian Piero Gasperini.
«Da giocatore era perfetto, pensava sempre per la squadra e non per sé. Ha i suo difettucci: è pignolo, permolosetto e sulfureo, ma è bravissimo. A Roma troverà le difficoltà che non aveva a Bergamo».
Quali?
«La storia. In 70 anni lo scudetto è stato vinto solo da Liedholm e da Capello. Fabio mi disse una volta: il nemico della Roma è la città, dovresti partire in campionato da un +5 punti. Così saresti sicuro di farcela».
La possibile sorpresa?
«La Fiorentina che il mio Goretti, bravissimo, sta consegnando a Pioli. Se resta Kean, la Viola è la possibile outsider».