Una lunga intervista-confessione, quella concessa da Boris Becker al Corriere della Sera: la prigione, il dramma personale, le sfide interiori. L'ex tennista anche un episodio drammatico: durante la detenzione, un altro detenuto lo aggredì, “pensavo che mi avrebbe ucciso”. Ma è nella parte dedicata al tennis che Becker tira fuori le opinioni più pungenti e controverse, in particolare quando parla di Jannik Sinner - che è stato vicino ad allenare - e del panorama dei giovani talenti di oggi, descritti con parole tutt'altro che cariche di ammirazione.
In primis il ragazzo di San Candido. Becker conferma senza indugi che, nel gennaio 2022, Sinner gli chiese di diventare suo coach: “È vero”, ammette. Tuttavia, Becker spiega perché alla fine non prese il posto: “Aspettavo la sentenza di Londra, non so come finirà, non posso prendermi l’impegno”. A quel punto, però, non volle lasciare Sinner “a piedi” e gli fece un paio di nomi: fra questi Darren Cahill, che giudicò il miglior allenatore possibile per il giovane italiano. Lo stesso Cahill che poi avrebbe allenato Sinner accompagnandolo sul tetto del mondo.
Se Cahill dovesse ritirarsi un giorno, chiede il Corsera, Becker tornerebbe in lizza? Lui risponde: “Forse”. Poi sottolinea che oggi la sua vita è in un’altra fase: “Non voglio stare così tanto on the road... il ruolo di coach comincia a starmi stretto”.
Quando poi gli viene chiesto che giocatore sarebbe diventato Sinner con lui nell’angolo, Becker è prudente ma convinto: “Quattro Slam a 24 anni: non credo che avrei potuto fare meglio di Cahill e Vagnozzi. Il successo del team Sinner parla da solo". Dunque il tedesco rimarca come Sinner “non era famoso” al momento della scelta ma che “pochi capiscono il gioco come Simone”.
Passando dal singolo al collettivo, Becker si spende in aspre critiche verso l'attuale generazione di tennisti. Il tono, come anticipato, è tutt'altro che benevolo. Secondo lui, molti giovani tennisti sono “poco curiosi” del mondo esterno: “Pretendiamo che questi ragazzi siano maturi, perfetti e invece loro chiedono solo di essere lasciati in pace, con il loro team". Becker incalza: “Non sanno nulla di politica e, spesso, nemmeno del Paese che rappresentano”. Per lui, quello che manca è una dimensione più ampia al di là del campo: “Quando hai il tennis, da solo, alla lunga annoia da morire”.
Una critica che non guarda solo alla performance sportiva, ma alla formazione umana e intellettuale: “L’entourage di questi ragazzi dovrebbe stimolarli con argomenti che non siano solo dritto e rovescio. E a 30-35 anni, quando non c’è più un coach o il team a risolverti i problemi pratici, non sai nulla del mondo. E ti ritrovi spaesato, fuori dalla bolla”, conclude un Borsi Becker caustico e disilluso.