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Marocco, l'italiana scherza sul Corano e viene arrestata. Femministe e sinistra in silenzio

Claudia Osmetti
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Niente da fare, la sinistra resta muta. Non dice una parola, non s' indigna, non protesta. Va a braccetto con le femministe del nuovo millennio, sempre pronte a manifestare su ogni sciocchezza purché non si tirino in ballo questioni religiose. Se poi, metti caso, c'entra l'Islam, apriti cielo. Resta in carcere Fatima (nome di fantasia), la ragazza italo-marocchina arrestata il 20 giugno a Marrakech per un post su Facebook del 2019. Di striscioni per lei appesi fuori dai Municipi italiani se ne vedono pochini: a dare un numero, zero. Procede (questo sì) il lavoro certosino della nostra diplomazia a Rabat: l'ambasciatore Armando Barucco incontra la famiglia, incontra l'avvocato, prova a tirare le prime somme e si fa in quattro. Perché in tasca, Fatima ha anche un passaporto che dice "Repubblica italiana", vorrà pur significare qualcosa.

 

 

Gli aggiornamenti arrivano alla spicciolata. Uno: il commento dello "scandalo" non è più sui social da almeno tre anni. L'ha cancellato la diretta interessata quasi subito, quando si è accorta che poteva essere frainteso (si trattava di una battuta su un passaggio del Corano ribattezzato come "il versetto del whisky"). Ha fatto in tempo a notarlo, però, un'associazione di carattere religioso che ha sporto denuncia al di là del Mediterraneo. Due: da qualche anno Fatima e la sua famiglia non vivono più a Vimercate (Monza). Si sono trasferiti in Francia, a Marsiglia, dove lei si è iscritta all'università. Il padre, ieri, ha preso un aereo e ha raggiunto i parenti in Marocco: adesso è là, per cercare di capire come mai sua figlia dovrà passare i prossimi tre anni e mezzo in cella. Non se l'aspettavano una sentenza simile, tra l'altro arrivata in una settimana. Tre: l'ambasciata italiana a Rabat ha chiesto anche una visita consolare nel penitenziario che la tiene rinchiusa. È sul piano politico che la vicenda inizia a sgretolarsi. Di sollevazioni di piazza, manco mezza.

 

 

Sarà l'estate, sarà il caldo, ma le fiaccolate (giustissime, per carità) organizzate a sostegno di Patrick Zaki, il giovane egiziano arrestato al Cairo in una situazione analoga, sono lontane anni luce. Commenti, prese di posizione, richieste di chiarimenti idem. C'è solo il deputato della Lega Massimiliano Capitanio che alza il telefono e si mette in contatto con Rabat. È nato a Vimercate, come Fatima. «Il nostro ambasciatore in Marocco si è già confrontato con criticità simili in Sudan», racconta, «adesso bisogna tenere alta l'attenzione parlamentare». Una parola. «Fatima è stata incriminata in base alle leggi locali per vilipendio alla religione, han fatto valere la sua cittadinanza marocchina. Ci adopereremo perché ottenga almeno i domiciliari». E chiosa: «Pur nel rispetto dei sistemi giudiziari altrui, siamo decisi a fare tutto quello che è nelle nostre competenze per tirarla fuori da lì». «Su questa vicenda è calato un silenzio surreale», aggiunge la vice-presidente di FI in Senato Gabriella Giammanco, «dai sostenitori dell'Islam nemmeno una parola». Appunto.

 

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