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Alighiero Boetti e Salman Ali, la storia di una grande amicizia che racconta un Afghanistan che non c'è più

Gli arazzi sono tra i lavori più conosciuti di Alighiero Boetti, gigante dell'arte contemporanea che usò i fili da ricamo come colori o pastelli. In diversi formati, suddivisi in griglie in cui sono inserite frasi e motti inventati dall’artista, queste opere "misteriose" sono per volontà dello stesso Boetti, opere collettive. E già: l'uso dell'arazzo non nasce dalla volontà di recupero di tecniche artigianali, ma dalla necessità di Boetti di porsi oltre lo stile e la maniera individuale, di far scomparire "l'artista" dentro la sua opera. Boetti diventa un regista che catalizza e amplifica le energie delle mani che tessono; l'opera diventa memoria condivisa. E la memoria è quella di un Afghanistan che non c'è più e che oggi diventa indispensabile raccontare e documentare. Come ben ha fatto Salman Ali che conobbe Alighiero Boetti nel 1971- cinquant' anni fa- a Kabul dove l'artista faceva la spola due volte l'anno per commissionare alle donne afghane le opere da lui disegnate e ricamate secondo la tradizione locale. Boetti lì aveva aperto il famoso One Hotel e per Salman, ventitreenne, non fu difficile trovare nell'albergo il suo primo impiego. Arrivava da Kandahar dove aveva appena finito il servizio militare. Fu un rapporto di lavoro, ma anche di fraterna amicizia. Ali fu  molto più di un semplice assistente: fu un membro della famiglia. Si occupava della casa, dei bambini, della casa; seguiva Boetti nei suoi viaggi e nel suo studio dove garantiva ordine perché «tutto andasse bene e che capo fosse tranquillo».  Lo racconta Agata Boetti a Nicoletta Orlandi Posti in questa nuova puntata di ART’è. La figlia di Alighiero Boetti ha presentato alla Tornabuoni Arte di Milano la mostra «Salman AliGhiero Boetti» che nasce dall'autobiografia di Salman Ali (edita da Forma): Una esposizione e un libro fotografico di grandissima attualità perché documenta un Afghanistan diverso, libero, che non c’è più.

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