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Unione europea, come evolve il "modello europeo", tra democrazia e stato di diritto

Di democrazia, libertà e stato di diritto ha parlato pochi giorni fa il presidente del Consiglio Mario Draghi al Senato e alla Camera. Queste sono le sue parole a proposito della candidatura dell’Ucraina per l’ingresso nell’Ue: “Negli ultimi decenni l’allargamento dell’Unione Europea ha dato pace e stabilità a Paesi segnati dalla guerra (…) Ha fornito un potente incentivo allo sviluppo della vita democratica, al rispetto della dignità umana e dello stato di diritto”. E ha concluso: “L’adesione a questi principi non è una considerazione secondaria, è alla base del progetto europeo”. In effetti lo Stato di diritto - cioè di matrice liberale, in cui viene perseguito il fine di controllare il potere dello Stato attraverso norme giuridiche - è uno dei valori fondamentali dell’Unione, sancito dall’articolo 2 del trattato sull’Unione europea. Ed è conditio sine qua non per la tutela di tutti gli altri valori fondamentali dell’Unione, i diritti fondamentali, la democrazia. Impossibile negare che soprattutto sul finire degli anni ’10 del XXI secolo l’esportazione del “modello europeo” abbia subìto una battuta d’arresto: con le crisi ai confini dell’Ue, dalle primavere arabe ai focolai accesi nello spazio post-sovietico, ma anche nel contesto politico interno dell’Unione, si erano aperte delle “falle”. Stati membri come Polonia, Ungheria, Romania, sono stati sedotti da modelli di democrazia “alternativa”, “illiberale”. Modelli che, anche nei casi in cui godono di sostegno popolare, rischiano di risultare incompatibili con i requisiti considerati fondamentali dall’Ue: il rispetto per le minoranze e le diversità, i diritti umani, la separazione dei poteri. La guerra in Ucraina, come effetto collaterale, sembra aver sanato queste crepe, e ha messo in evidenza il crescente divario tra l’Europa democratica e i valori autocratici di Mosca e di Minsk.

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