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Alessandro Di Battista, vuol fare il Che ma... è Sora Camilla

di Pietro Senaldi sabato 20 agosto 2022

4' di lettura

C'è un grillo sparlante che si aggira fuori dalla politica. Dell'originale, il Grillo fondatore, ha l'arroganza impunita e la parlantina, ma non il genio e neppure il carisma. Infatti, anche se nei salotti televisivi ci prova in ogni modo a sembrare un duro, basta interromperne la cantilena per capire che è lui il primo a non credere del tutto in se stesso. Cinque anni fa mostrò le palle, bisogna riconoscerlo, e non si ricandidò in Parlamento perché le regole della casa pentastellata prevedevano, e ancora prevedono, malgrado i goffi tentativi di Conte, il tetto ai due mandati. Decise di rimanere fermo un giro. Si è preso un lustro sabbatico, speso a bighellonare per il mondo e scribacchiare qua e là senza particolare costrutto e senza lasciare traccia. Ora che è arrivato il momento di raccogliere i frutti della rinuncia e provare a mettere in pratica i tanti teoremi esposti e gli insegnamenti della vita raccolti su un autobus del Guatemala, alla riunione dei genitori dell'asilo, nel backstage di uno studio di registrazione, cazzeggiando con chi gli aggiusta lo scooter o studiando la vita di Bolivar su Wikipedia, ha deciso di aspettare ancora.

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SOLO CHIACCHIERE

Alessandro Di Battista è così, un presenzialista delle parole e un assenteista dei fatti. In allenamento fa il fenomeno, quando arriva l'ora giocare la partita sceglie di accomodarsi sotto la panchina, da dove continua a ronzare fastidiosi giudizi su chi invece si batte in campo. Si atteggia a impavido guerrigliero, è in realtà una suocera cacasenno che ormai non va d'accordo più con nessuno, in particolare con la sua famiglia d'origine, il padre padrone Grillo, il gemello diverso Di Maio, ai quali non perdona il difetto di una scaltrezza superiore alla sua, e il Conte zio, l'unico sveglio quanto lui e per questo quello che stima di più, anche se non gli riesce a perdonare di provare a gestire M5S come un partito anziché come un collettivo studentesco in gita di classe a Roma. Bisogna riconoscere che il Dibba era un discreto tribuno, ma con la dissoluzione del Movimento si è scoperto che la piazza gliela riempivano gli altri, perché da solo per lui perfino il Capranichetta diventa più grande del Madison Garden. Al momento, la maggiore abilità di cui ha dato prova è nel mettere d'accordo Berlusconi e Travaglio. Dal primo si è fatto pagare, via Mondadori, libri di riflessioni e memorie di cui si sono scordati tutti il giorno dopo. Gli ultimi tre titoli sono un non programma: «Politicamente Scorretto», «Contro», «Ostinati e Contrari»; una trilogia, per chi non l'avesse capito. Non si sono registrate code in libreria. Il Fatto Quotidiano gli ha invece commissionato reportage da turista dell'anti-democrazia, dalle dittature del Sud America a Cuba, che l'ex giovinastro di belle promesse ha trasformato in resoconti dalle vacanze in famiglia degni di un ginnasiale ripetente e soprattutto, che avrebbe potuto benissimo fare standosene nella sua casa romana, per quanto è stato capace di rendere l'atmosfera di quei luoghi lontani e per il colpo d'occhio da sgabuzzino delle scope.

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COMPAGNI SBAGLIATI

A chi segue poco la politica, Di Battista potrebbe anche sembrare finanche un puro, un idealista un po' sconclusionato, una sorta di Idiota di Dostoewskij, visto che ama Mosca. In realtà è più simile alla romana sora Camilla, che tutti vogliono ma nessuno piglia. Neppure il Paragone di Italexit, che pure ha più volte ospitato sul sellino posteriore del suo scooterone ai tempi dei primi dissensi dentro M5S, se lo carica. D'altronde il nostro sbaglia sempre compagni di viaggio, come quando andò in auto a Strasburgo con l'allora amico Luigino per spiegare all'Unione Europea che, o si metteva in testa di cambiare i trattati o sarebbe morta. Li soprannominarono Thelma e Louise, ma al momento nel burrone ci è finito solo uno dei due, quello alto e bello. Grande, grosso, ciula e balosso, direbbero a una latitudine poco superiore di quella sua natìa. Comunque, tutti intorno a lui hanno fatto un partito, o lo hanno ereditato, ma il nostro tormentato tenebroso non è riuscito a convolare a nozze con nessuno, e in questi casi è sempre colpa del singolo più che dei tanti, visto che non si può pretendere di fare politica se si riesce ad andare d'accordo solo con se stessi. E questo lo ha capito perfino Calenda, come dimostrano le sue ultime sorridenti foto-opportunity con i nemici di poche settimane fa. Di Battista è una sorta di Fratoianni che non si è dato pace. Il segretario della Sinistra Italiana ha chiesto asilo al Pd per continuare a dire le sue stramberie populiste con uno stipendio a cinque stelle. L'ex stella del Movimento la pensa come il comunistone di cui sopra in politica estera, sull'ambiente e sulla decrescita finanziata da bonus e reddito di cittadinanza ma gli manca l'umiltà di capire che da solo non va da nessuna parte. Oppure, anche se non lo dice in giro per non perdere scritture, ha gettato da tempo la bandiera. Finge di fare il politico, e infatti ha annunciato la creazione di un'associazione culturale civica non ancora meglio precisata, ma in realtà è una comparsa di lusso del teatrino. Nessuno condivide davvero quel che dice, ma siccome lo dice con sicurezza e, se non ha interlocutori di fronte, anche benino, si è creato la professione di opinionista; e qui gli va riconosciuta l'abilità di spacciare le idee personali che nessuno, lui per pri- mo, realizzerà mai, come un pensiero politico che abbia una qualche rilevanza. È partito come novello Che Guevara, ha ripiegato sul progetto di diventare l'erede di Di Maio, si è ritrovato il figlio ripudiato di Grillo e l'amico venuto a noia di Conte e Casaleggio junior. Gli andrà di lusso se finirà come la versione maschile di Selvaggia Lucarelli. 

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Questa, in ogni caso, è una bellissima cartolina del Pd romano. Nella Capitale si diceva: "Non solo Cesare deve essere immacolato, anche sua moglie". In questo caso la moglie è Ruberti e Cesare è il sindaco Gualtieri, che rischia di perdere credibilità. Due cose: non è che con le dimissioni di Ruberti può tornare tutto come prima, perché c'è un pentolone da scoperchiare. Seconda cosa: qui si prova la nobiltà della magistratura. Sarebbe bello che l'ex capo di gabinetto venisse trattato dai magistrati, e da certa stampa, così come vengono solitamente trattati i politici di centrodestra. Il video-commento del direttore di Libero Pietro Senaldi.

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