Il caso

Carta igienica, addio? L'ultimo sfregio della Cina: come e perché vuole farci restare senza rotoli

Maurizio Stefanini

Per colpa del Covid, il mondo potrebbe non andare più a rotoli. E non sarebbe una bella notizia. I rotoli che mancherebbero sono infatti quelli della carta igienica. E la colpa sarebbe della Cina, due volte. Indirettamente per aver esportato il Covid, che ha portato la domanda di carta igienica alle stelle. A ogni annuncio di lockdown, zona colorata e simili, infatti, è questa una delle merci di cui la gente spaventata corre subito a fare incetta, assieme a sale, zucchero o disinfettanti. Direttamente, perché adesso che con metodi da regime comunista ha più o meno rimesso a posto la situazione, il governo di Pechino sta pompando in tutti i modi la produzione industriale per approfittare della crisi mondiale e affermarsi definitivamente come prima potenza del pianeta. E tanto sta chiedendo materie prime che sulle navi portacontainer non c'è posto per quella pasta di legno dura con cui la carta igienica si fabbrica.  

 

RINVIO AD APRILE
L'allarme lo ha dato la Suzano Papel e Celulose SA: società brasiliana con sede a San Paolo che da sola produce un terzo di tutta la pasta di legno che copre il fabbisogno mondiale. In particolare a intasare le navi portacontainer sarebbe stata la domanda cinese di barre di acciaio con nervature, che sono quelle con cui si fa il calcestruzzo. Così la Suzano è stata costretta a rinviare per aprile alcune spedizioni strategiche che avrebbero dovuto partire a marzo. Se va avanti così, spiega la Suzano, il mondo potrebbe ritrovarsi, se non proprio senza carta igienica, certamente con meno carta igienica di quanto non sarebbe necessaria. Ciò anche senza tener conto della incognita rappresentata dalla situazione della pandemia nello stesso Brasile, dove la linea non favorevole ai lockdown del presidente Bolsonaro ha per ora contribuito a rilanciare l'economia, ma ha pure portato i decessi oltre ai 3.000 al giorno. E c'è il dubbio se alla fine anche l'export nazionale brasiliano finirà per risentire dello stress. 

Walter Schalka, direttore esecutivo della compagnia, in una intervista a Bloomberg ha avvertito inoltre che lo stesso problema lo stanno avendo gli altri produttori della regione. «Tutti gli operatori sudamericani che esportano attraverso carichi break bulk hanno dovuto affrontare questo rischio», ha detto. C'è ovviamente il timore che lo stesso problema possano presto averlo anche altri settori merceologici. L'allarme è stato lanciato prima del blocco del Canale di Suez, ma è altamente presumibile che la vicenda della nave con bandiera panamense che si è arenata finirà per peggiorare ulteriormente il quadro. Il prezzo per inviare un container per le otto rotte principali è comunque già più che triplicato dall'inizio della pandemia; per uno spazio da 40 piedi, da 1.500 dollari del novembre 2019 ai 4.871 dollari attuali. Ma sulla tratta America Latina-Asia si è passati addirittura da tariffe di 1.500-2.000 dollari a 10.000. 

 

FEBBRE EOLICA
Anche molti artigiani e piccoli imprenditori italiani stanno percependo il contraccolpo della domanda cinese per il forte rincaro delle materie prime, ma il peggio deve ancora arrivare con il contraccolpo del boom dell'energia eolica. Le pale si fanno infatti con legno di balsa, il 75% del legno di balsa viene dall'Ecuador, e soprattutto un sussidio statale cinese ha innescato la domanda di pale eoliche che ha triplicato i prezzi, provocandoo la deforestazione selvaggia della provincia amazzonica di Pastaza, con effetti di tutti i tipi. La febbre c'è anche negli Usa e Europa, ma i produttori occidentali chiedono legno a certificazione ecologica, mentre ai cinesi non importa niente.