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Facci: l'erba fa male ma è giusto legalizzarla

La cannabis fa male, ma il proibizionismo è sbagliato. E il Belpaese sceglie di proibire ma tollera che le leggi vengano evase. Dunque...
di Andrea Tempestini domenica 12 gennaio 2014

3' di lettura

Si può essere a favore della legalizzazione e però non della cannabis. L’equivoco è credere che legalizzarla sia obiettivo anzitutto dei consumatori - quelli che si fanno le canne, cioè - e non anche di chi della cannabis resta sostanzialmente un nemico culturale, e pensa perciò che questa abitudine vada combattuta in altro modo rispetto a come si fa o non si fa oggi. Poi, siccome sui temi civili siamo un Paese sottosviluppato, da noi il dibattito embrionale sulla legalizzazione prende le forme schizoidi per esempio già raccontate da Libero di ieri: l’assessore leghista Gianni Fava si è detto a favore della legalizzazione (via twitter) al punto che Roberto Maroni ha rilanciato e sottoscritto, ma poi è intervenuto Matteo Salvini con la solita formula tartufesca («non è una priorità», espressione per dire che non si vuol saperne) e allora anche Maroni si è tirato indietro: peccato che l’assessore Fava intanto avesse rilanciato.  Ecco, è tutto un po’ così, sospeso tra la ratio di chi ci ha semplicemente riflettuto e di chi teme di perdere voti, di passare per amico dei drogati, propugnatore di una comunità che si abbruttisce di canne da mane a sera. Come se la recente legalizzazione in Colorado e in altri Stati statunitensi (o in Svizzera, in Uruguay o nello Stato canadese del British Columbia) mirasse a stordire l’umanità e non più semplicemente a debellare i narcos, a colpire al cuore i cartelli del traffico senza che tuttavia - è il punto chiave - aumentino i consumatori. La vera scommessa infatti è questa: verificare se la legalizzazione possa far calare i consumi eliminando l’aura del proibito - come accadde a suo tempo per l’alcol, ovviamente dopo una prima fase di euforia - o se invece le cose peggiorerebbero e basta. Oddio, difficile che peggiorino, visto che oggi farsi una canna è la cosa più semplice e comune del mondo e la proibizione non fa che regalare status a un consuetudine tutto sommato banale. C’è chi giura che a una legalizzazione ci arriveremo tutti, anche perché porterebbe soldi all’erario: ma è frustrante che l’Europa - figurarsi l’Italia - debba andare a rimorchio di esperimenti e cambiamenti che al solito vengono anticipati oltreoceano, diversamente da come accadeva in passato. Nel nostro Paese, in particolare, resta in vigore la malfamata legge Fini-Giovanardi che ha reso opaca la distinzione tra  droghe leggere e droghe pesanti e ha creato un bacino di potenziale criminalità che coinvolge tutti gli strati sociali, oltretutto stipando le carceri all’inverosimile. La legge non funziona, e siamo fermi a questo.  Dopodiché c’è il discorso sobrio e comprensibile di chi è a favore della legalizzazione ma non della cannabis, che resta - con la marijuana - un piacere sperimentale e tipicamente da giovani. I danni da consumo, limitati, sono comunque provati da vari studi scientifici: ma a questo si potrebbe obiettare che il consumo e la dipendenza da alcol producono danni assai peggiori. È noto che la maggior parte dei consumatori fanno uso di cannabis in gioventù e poi smettono gradualmente, senza strappi o drammatiche decisioni: lo stordimento diventa pericoloso (alla guida, per esempio) o comunque poco compatibile con una vita lavorativa o di relazione; dunque una persona che ritenesse di doversi stonare anche da adulta - troppo spesso, cioè - forse non dovrebbe essere incoraggiata dallo Stato: tutto qui, il discorso è questo. È come se le farmacie di mettessero a distribuire psicofarmaci senza ricetta: e beninteso, poco ci manca. Ma è un discorso delicato. Uno stile di vita legato alla cannabis difficilmente potrà essere definito come costruttivo: il problema è che pontificare su questo, al tempo stesso, comporta il sostenere che un modello di vita sia migliore di un altro. È complicato, è poco liberale ma soprattutto è contraddittorio rispetto ad altri stili di vita che lo Stato certo non incoraggia - le sigarette, l’alcol, certi cibi, il gioco d’azzardo - ma al tempo stesso non proibisce. Uno Stato moderno dovrebbe rendere eticamente accettabile tutto ciò che sia legale: ha poco senso legalizzare qualcosa e contemporaneamente disincentivarne l’uso o condannarlo moralmente. Nel dubbio, nazioni cattoliche come la nostra preferiscono scegliere di proibire e contemporaneamente di tollerare che le leggi vengano evase: dunque il consumo della cannabis è proibito, per esempio, ma è come se non lo fosse, col dettaglio che in tutto questo si arricchiscono le organizzazioni criminali e si alimenta un infinito indotto illegale. È assurdo. E non stupisce che oltreoceano se ne siano accorti da un pezzo. di Filippo Facci

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