Chi finisce alla gogna

Alessandro Orsini & Co, il sospetto sulle liste dei "filo-Putin" del Corriere: ciò che i servizi tacciono

Renato Farina

Il Corriere della Sera domenica ha pubblicato foto segnaletiche, nomi e dati sensibili di nove cittadini, i quali non risultano condannati da nessuna parte, e neppure indagati, ma che intanto sono stati marchiati a fuoco sulla pubblica piazza come traditori della patria. Questo elenco, che aspetta solo di essere appeso sui piloni della luce con scritto Wanted o Achtung Banditen e un cappio quale monito, non è stato compilato dopo una faticosa e scrupolosa ricerca sul campo, ma è la pura e acritica trascrizione di una soffiata, si presume d'alto livello. Da parte di chi? Del controspionaggio italiano o del Copasir? Non si scappa. O è stata l'Aisi, agenzia dei servizi interni, che avrebbe individuato le quinte colonne del Cremlino su ordine del Copasir a sua volta terminale della ricerca e quindi anch' esso sospettabile di aver passato le carte. Quello del primo quotidiano italiano per diffusione e fama nel mondo, sia chiaro, non è stato un incidente, ma una precisa scelta di giornalismo bellico. A dare il sigillo di sacralità al pacco sono state infatti le firme della vicedirettrice Fiorenza Sarzanini (versante servizi segreti e ministero dell'Interno) e della parlamentarista Monica Guerzoni (agganci al Copasir). Sono prime penne, si muovono sempre su terreni solidi. La serietà nei secoli delle due giornaliste fa escludere che abbiano raccolto una patacca. Ma non credo sia legale appendere la gente per i piedi.

 

 


CONFLITTO DICHIARATO?
Beh, diciamolo. Tutto ciò è abbastanza schifoso, ma sarebbe almeno plausibile in un Paese che abbia sospeso la libertà di parola e di pensiero (art. 21 della Costituzione), avendo dichiarato lo stato di guerra e la legge marziale. Le tre cose non ci risultano, ma forse ci hanno nascosto qualcosa. In realtà il Governo convintamente sostiene che il nostro Paese non sia entrato in guerra, ma con sanzioni e invio di armi si limiti a sostenere il diritto alla legittima difesa di un Paese amico invaso da un potenza imperiale. Non è scattato l'art. 78 della nostra Magna Carta: «Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari». Dopo questo episodio da stato di guerra latente ci aspettiamo però che qualcuno alla Camera e al Senato si alzi dal suo scranno e tiri le conseguenze del sasso tirato nello stagno dal Corriere e dai servizi segreti perché sia ufficializzata la belligeranza. Per parecchi parlamentari periclitanti potrebbe essere un'idea salvifica: è l'unico caso che la nostra Costituzione (art. 60, comma 2) prevede come giustificazione per congelare per legge il Parlamento così com' è ed evitare elezioni sine die. Guerra lunga, vita lunga. Ma non è questo il tempo dell'ironia. E allora osserviamo con un po' di apprensione quel che è successo di illegale. Scrivono Sarzanini & Guerzoni: «L'indagine avviata dal Copasir è entrata nella fase cruciale. Il materiale raccolto dall'intelligence individua ecc». Trattasi insomma di retata commissionata dal Copasir ai servizi i quali pescano nove presunti merluzzi-spia e li passano al Copasir e da lì (o dall'Aisi o dal Dis) finiscono in via Solferino.

 

 


Chi scrive detesta farsi eco di una schedatura, per cui niente nomi. Ma - prima di essere pescato pure lui- dichiara di essere lontano dalle loro posizioni, anche se ammetto che certi servizi dal Donbass di uno di loro, comunista, sono istruttivi. La frase dove casca l'asino/a è la prima: «L'indagine avviata dal Copasir». Copasir è l'acronimo di Comitato Parlamentare perla Sicurezza della Repubblica, istituito con l'art. 30 della legge che riforma i servizi segreti (n.124 del 2007). Il Copasir non può permettersi di avviare alcunché. Qui ci interessa il comma 2 del citato art.30: «Il Comitato verifica, in modo sistematico e continuativo, che l'attività del Sistema di informazione per la sicurezza si svolga nel rispetto della Costituzione, delle leggi, nell'esclusivo interesse e per la difesa della Repubblica e delle sue istituzioni». Verifica, vigila, controlla. Arretriamo dall'art. 30 all'art. 8, che perentoriamente afferma: «Le funzioni attribuite dalla presente legge al Dis (organo di coordinamento), all'Aise (servizio estero) e all'Aisi (servizi interni) non possono essere svolte da nessun altro ente, organismo o ufficio». Né dal Copasir né dal Corriere.


MA QUALE INDAGINE
Il Copasir è un arbitro, non tira calci al pallone. Indagini competono solo ai servizi che hanno per leader Elisabetta Belloni, la quale risponde al sottosegretario della presidenza del Consiglio delegato all'intelligence, Franco Gabrielli. Se hanno notizie di reato informano la polizia giudiziaria. Nessun altro può archiviare informazioni personali, esito di indagini su chicchessia, especialmente su parlamentari, anche se si chiamano Petrocelli, o come Salvini varcano il portone di un'ambasciata persino di Paesi ostili. L'unica attività nota del Copasir, riconducibile alle informazioni sulla guerra in Ucraina, è stata la seduta del 1° giugno, nell'ambito dell'«Indagine conoscitiva sulle forme di disinformazione e di ingerenza straniere, anche con riferimento alle minacce ibride e di natura cibernetica».

Quel giorno si è svolta l'«Audizione del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio in materia di informazione e di editoria, senatore Rocco Giuseppe Moles». «Attività conoscitiva» non schedatura da affidare ai servizi e poi diffondere tramite Corriere della Sera. Troppo zelo patriottico? O qualcuno al Copasir e/o alla testa dei servizi e/o in via Solferino punta a un coinvolgimento irreversibile nel conflitto che la Russia sta conducendo in Ucraina? Come disse qualcuno è il caso che il Parlamento «controlli i controllori». Caso mai ci fosse qualche dubbio sulla liceità dei comportamenti di Orsini e compagnia, fatto salvo il diritto di contrastarne le idee e di mettere in guardia chi se le beve come oro colato, a tagliare la testa al toro è l'art. 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo (Cedu), vincolante per il nostro Paese: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d'opinione e la libertà di ricevere odi comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera». Amen.