Sul New York Times, appena l’8 marzo scorso, il filosofo e scienziato cognitivista Noam Chomsky, si accapigliò in un serrato dialogo filosofico a colpi di pensieri laterali con l’intelligenza artificiale ChatGPT. Affrontando la discussione col pregiudizio dell’incapacità delle macchine di «pensare e di esprimere cose improbabili ma perspicaci», ma con l’AI che dimostrava un paraculismo oltre l’umano, finì pari e patta. Quasi un anno dopo, a riproporre quella disfida, Chomsky verrebbe distrutto. L’intelligenza artificiale, nella creazione di una realtà parallela che mescola dettagli vividi e pura invenzione ci sta immergendo sempre più in quel che la psicanalisi chiama «sindrome della fantasia compulsiva»; sta prendendo il sopravvento nutrendosi delle nostre abilità, dei nostri errori, dei nostri sogni. Una prospettiva terrificante.
Che oggi trova un argine in Umano, poco Umano - esercizi spirituali contro l’intelligenza artificiale (Piemme editore, pp 240, euro 18,50), saggio di autentica resistenza umana, scritto da Mauro Crippa e Giuseppe Girgenti, rispettivamente direttore dei direttori dell’informazione e della comunicazione Mediaset e docente di Storia della filosofia antica all’Università San Raffaele di Milano. È bizzarro che, proprio nel giorno in cui Open AI annuncia la sua nuova applicazione Sora - che elabora immagini da racconti testuali precipitandoci in tempo reale in un romanzo di P.K. Dick - questo «manuale di sopravvivenza» sia piazzato a mo’ di mitragliatrice sulle trincee dell’editoria assediata dal Robot Journalism e dai video e testi fake. E da questa mitragliatrice sventagliano dieci esercizi spirituali attraverso i quali rintracciare, nel pensiero dei classici le coordinate per affrontare un presente che rischia di travolgerci perché «la minaccia è reale.
La mutazione è in atto, i tempi di attenzione sono diminuiti. Ci stanno invadendo. Le macchine hanno distrutto anche il concetto di gioco: sono anni che Kasparov non vince una partita a scacchi col computer», mi dice Crippa che, di solito, è un monolite d’ironia mentre qui mi appare visibilmente allarmato. Ed ecco che, con un linguaggio divulgativo e accessibile, il pamphlet - bello tosto - sciorina, tra le sue pagine, gli insegnamenti dei grandi filosofi come una sorta di yoga armato. C’è l’esercizio spirituale “di Socrate” che s’inerpica sul «conosci te stesso» l’insegna intimamente stroboscopica fissata sul tempo di Apollo delfico. C’è l’esercizio di Platone che invita alla scrittura -possibilmente a mano - per esaltare la paideia, la formazione delle giovani anime messe in sicurezza rispetto al loro lato oscuro.
I NOSTRI AVENGERS
C’è l’esercizo di Epicuro, gran maestro dell’edonismo antico. E ci sono le lezioni di cura e d’amore per se stessi di Galeno e Sant’Agostino, di Aristotele e Ignazio di Loyola; e del cieco Omero che si muoveva col radar nell’oscurità del mito e oggi sarebbe uno sceneggiatore inarrivabile. «Sono i nostri Avengers, i nostri Guardiani della galassia, arrivano a salvarci quando le cose precipitano», mi fa Crippa. E ha ragione. Il libro parte dal monito di Mattarella che mette in guardia dall’autofagia delle macchine e dal caso Sam Altman il fondatore tornato, ad intermittenza, fiero e vendicativo alla guida di OpenAI, imprenditore assai preterintenzionale nella sfida affannosa al progresso. E il volume chiude col(vero) caso dell’avvocato Steven Schwartz il quale, presentando falsi precedenti giuridici imbastiti da Chat GPT, si fa beccare dalla Corte Federale di Manhattan nell’atto forse inconsapevole - di essersi fatto manipolare da una macchina. Cioè: la realizzazione dell’incubo del Computing Machinery and Intelligence al potere: siamo alla sindrome di Hal 9000, il computer senziente e spietato di 2001 Odissea dello spazio. Nel mezzo del libro scorrono visioni che insufflano un certo terrore sociale, oserei. Si citano a pioggia filosofi più vicini rispetto a Seneca e Marc’Aurielio: apocalittici più moderni, da Jan Patoka a Giovanni Reale, da Michel Foucault a Pierre Hadot.
«Oggi qualsiasi approfondimento è bandito. Le chat hanno già sacrificato le vocali. Le immagini prevalgono sempre sul testo. La verità non è un requisito, e tanto meno la realtà. Non è ancora chiaro che cosa tutto questo produca nella psicologia profonda degli individui, ma qualcosa sta succedendo dentro di noi. Dovremo adattarci e collaborare con l’AI ma è innegabile che ci sono dei rischi», scrivono gli autori. E citano, per dire, il caso di Remini 4, la app che da una foto è in grado di ricostruire un essere sintetico con quelle identiche fattezze. Un Golem di silicio inarrestabile.
Più Crippa parla, più mi affonda in una preoccupazione per il futuro dei nostri figli. È un sentore di stizza che si colora d’allarme, e poi di tragedia. Siamo oggettivamente indifesi di fronte a tutto questo. «Il problema è che con la bomba atomica non ci parlavi, così come col motore a scoppio, con la spoletta per i telai: oggi l’intelligenza artificiale interloquisce con le nostre emozioni. È molto più infida. Si può paragonare la rivoluzione di Chat GPT a quella di Gutenberg, solo che lì le lettere tipografiche le mettevano gli uomini», continua il manager Mediaset. Io ribatto che l’Intelligenza artificiale è come Mussolini, in fondo, ha fatto anche cose buone: per esempio, ha trovato molecole mai viste per sviluppare nuovi farmaci. «Sì. Ma nessuno ha capito come ci sia arrivata: il determinismo tipico delle macchine comincia già a sfuggirci. Guarda, la teoria di Oppenheimer è sbagliata: non è vero che la tecnologia è buona o cattiva e dipenda da chi la usa». Ne basta solo uno che la usi male - magari che nasce in Austria, imbianchino coi baffetti - per far saltare tutto.
L’EUROPA CONTRO TUTTI
Ma a tutto questo nessuno pare pensare sul serio. La Cina e l’India si danno da sole in pasto all’AI; l’America s’illude di poterla controllare, dimenticandosi delle profezie di Asimov, di Gibson, di Negroponte, ma anche di Bud Spencer che nel 1996 preconizzò l’egemonia di Amazon, dei social, degli algoritmi, opponendo loro l’eterno fiammeggiare del sentimento umano. La cara e vecchia Europa resta l’unica che ha capito. E sta imponendo tutta una normativa sulla tracciabilità di opere d’ingegno create dall’intelligenza artificiale. È l’unico modo per mantenere chiaro il concetto di verità dei fatti «nel senso di Hannah Arendt»: con l’AI rischia di mescolarsi tutto. La realtà virtuale specie per le nuove generazioni rischia di prevalere, perché è molto più accomodante. «Quindi urge tornare a leggere libri, scrivere a mano, fare l’amore con i metodi tradizionali», replica Crippa. Viene benignamente incontro alle mie paure ancestrali. E, mentre lo fa, mi affiora alla mente il test del matematico Alan Turing: quello che definisce un’intelligenza artificiale perfetta se un interlocutore umano, conversando con essa in modo remoto non sa dire se si tratti di una macchina o di un conversante in carne e ossa. Oddio, messi come stiamo messi, anche Noam Chomsky, di’sti tempi, avrebbe qualche dubbio...