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Superstiti indagati, scafisti fuoriL'Italia dei cachi in tre giornitrasforma la tragedia in farsa

Chi sfila senza dire nulla, chi si indigna perché viene applicata la legge e intanto i responsabili del naufragio di Scicli (13 morti) sono liberi: il Paese del paradosso
di Andrea Tempestini domenica 6 ottobre 2013

3' di lettura

Da una parte c’è un Paese coraggioso e caritatevole, ci sono le mani, le braccia e la gambe immerse nell’acqua degli uomini e delle donne di Lampedusa che raccolgono  i corpi freddi sputati fuori dal mare. O delle forze dell’ordine di Scicli che si gettano fra le onde per salvare persone frustate, malmenate e buttate dagli scafisti tra le fauci della morte.   Anche se non basta, e l’immagine dei cadaveri distesi fra le braccia dei soccorritori è una pietà michelangiolesca di carne e sangue. Questo è un Paese vero, lontano dalle ciarle ignobili dei buonisti d’accatto, intimamente disposto ad accogliere e soccorrere.  Poi c’è il Paese piccolo e ridicolo, quello delle brutte barzellette e dei tanti onorevoli Qualunque che quando parlano collegano la bocca al lato sbagliato del corpo. C’è il Paese che s’indigna perché sono stati indagati per immigrazione i superstiti dell’ecatombe di Lampedusa: circa un centinaio, minori esclusi. Detta così, la faccenda impressiona, certo. Ma è prassi, perché bisognerà pure identificare chi è sbarcato. Dopo la salvezza, dopo avergli dato almeno una coperta e un piatto di minestra. Dopo che il cuore e la compassione degli isolani non hanno fatto differenza tra santi e assassini, aiutando chi ne aveva necessità, bisogna che a separare gli uni dagli altri ci pensi lo Stato. E deve farlo garantendo a tutti dignità di esseri umani.  Il problema è che la notizia dei superstiti indagati diventa atroce nel momento in cui si legge di un’altra decisione di un giudice. Quella del gip di Ragusa che ha fatto scarcerare cinque dei sette scafisti che hanno condotto un barcone con duecento persone al largo di Scicli. A circa cento metri dalla riva, hanno cominciato a gettare in acqua i poveri cristi immigrati che tentavano di raggiungere le nostre coste. Li hanno spinti in mare a frustate. Colpi di cinghia per farli saltare: sono morti in tredici. Adesso cinque di questi sette scafisti sono fuori, poiché un giudice ha ritenuto credibile la loro versione dei fatti, secondo cui avrebbero soltanto collaborato alla navigazione del peschereccio. Come se anche solo contribuire a mettere  in acqua una barca carica di persone che verranno poi gettate tra i flutti non fosse un atto disumano, crudele e vergognoso. I superstiti di Lampedusa indagati, gli scafisti di Scicli liberi. Il connubio è allucinante perché schifoso è il cortocircuito delle due notizie, e anche peggiore è la strumentalizzazione politica che ne vien fatta. In queste ore va in scena una commedia di terz’ordine in cui tutto è ribaltato e confuso. La sinistra in coro bercia chiedendo di cancellare la legge Bossi-Fini; Laura Boldrini corre a Lampedusa per fare della sociologia spicciola con contorno di propaganda, flash e occhio acquoso di chi affetta commozione. Nessuno che si occupi di trattati e relazioni internazionali che davvero impedirebbero sbarchi e viaggi della morte. Tutti a sfilare fra i sacchi neri imbottiti di corpi.  La tragedia diventa una scusa squallida per difendere interessi di bottega e di parrocchia. C’è persino chi propone di premiare la gente di Lampedusa con il Nobel per la pace. Ora, di certo è comprensibile che si voglia riconoscere la forza d’animo di  un popolo che da anni è costretto a fronteggiare situazioni disgustose e incivili. Ma che c’entra il Nobel? Mai premio fu più inutile e grottesco, prova ne sia che l’hanno concesso pure a Obama - per tacere di Arafat. Dovrebbero buttarlo a mare, altroché.  Invece l’Espresso raccoglie le firme, ne fa un’altra battaglia politica. Ed ecco che si arriva all’ennesimo cortocircuito, all’interesse particolare scaturito dall’orrore. A chi propone il Nobel i lampedusani rispondono che loro se ne fregano. Gli dessero piuttosto qualcosa di più concreto: scuole, ambulatori. Lamentano i soldi spesi per simulare attenzione verso gli immigrati e la mancanza di risorse per loro, per gli isolani. Dicono che non hanno neppure il cinema. Capito? Il cinema. Nella commedia all’italiana si passa dalle lacrime al multisala, dove sicuramente qualcuno insisterà per proiettare il film di Crialese, Terraferma, con l’immagine del barcone carico di disperati. Poi vai col cineforum e di nuovo polemiche sulla Bossi-Fini. Intanto, sul fondo del mare giacciono centinaia di persone, orrendo sacrificio a Nettuno, dio crudele degli abissi e delle meschinità che li increspano in questi giorni. di Francesco Borgonovo

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