Il retroscena

Mario Draghi "ha la testa al Quirinale. Abbiamo la prova". Rivelazione bomba sul premier: cosa gli è sfuggito in Cdm

Mario Draghi ormai pensa al Colle. "Oggi abbiamo avuto la prova provata che Draghi, giustamente, ha la testa al Quirinale. Altrimenti il premier non avrebbe mediato sul contributo di solidarietà e avrebbe tirato dritto come ha sempre fatto da quando è a palazzo Chigi", scrive il Messaggero in un retroscena. Ieri 3 dicembre infatti il presidente del Consiglio ha deciso di fermare il contributo di solidarietà dopo la contrarietà di Lega, Forza Italia e Italia Viva che serviva a contenere gli aumenti delle bollette di luce e gas tagliando per uno o due anni gli sgravi della riforma dell'Irpef per i redditi sopra i 75mila euro. 

 

 

A rivelare che Draghi ha voluto mediare perché è concentrato sul Quirinale è un ministro del governo. E non è il solo. Perché un altro aggiunge: "Altro segnale è la volontà di evitare la rottura con i sindacati, chi punta al Colle non può ritrovarsi uno sciopero generale lungo il cammino...". Insomma, secondo quelli che lavorano a stretto contatto con il premier vedono molti "segnali" di un suo interesse a partecipare alla corsa per la successione a Sergio Mattarella che si aprirà a metà gennaio. Anche se nei palazzi della politica sono sempre di più quelli che preferirebbero che Draghi restasse al suo posto per completare il lavoro del Recovery Plan e non incorrere nel rischio elezioni anticipate.

 

 

Sicuramente, Sergio Mattarella non farà il bis. Lo ha sempre affermato e ora il presidente della Repubblica si dice davvero "stupito" - ovvero è fortemente irritato - per le interpretazioni emerse dopo la presentazione da parte di alcuni senatori del Pd del disegno di legge costituzionale per inserire il divieto di rieleggibilità del capo dello Stato e la conseguente abolizione del semestre bianco. In questo modo chi sostiene il provvedimento vorrebbe convincere Mattarella ad accettare una rielezione a tempo, fino all'approvazione della riforma. Ipotesi che il presidente rifiuta in toto.