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Elly Schlein "balla, canta e fa gol": per Repubblica è la nuova icona pop

Francesco Specchia
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Elly, sempre Elly, fortissimamente Elly. C’è qualcosa di nuovo, anzi d’antico, nella riaccesa passione dei colleghi di Repubblica perla segretaria Schlein, un tempo, per i notabili del partito, ritenuta dilettante, oggetto misterioso e incompresa a intermittenza; e oggi trasfigurata, all’improvviso, in invincibile «leader pop che si prende la piazza».

«Elly e Annalisa. Elly ed Elodie. Jeans e camicetta, stile pop tra le icone del pop. E una carrellata di foto sui social, Schlein tra la gente, i selfie, gli abbracci, i sorrisi, tanti sorrisi. E tanti alleati». Wow. C’è una furia agiografica e un’esplosione di amorosi sensi, nell’attacco dell’articolessa sul quotidiano di Molinari, corredata da inevitabile portfolio, firmata da Serenella Mattera. Immaginiamo la collega redattrice del testo davanti al computer, estatica, lo sguardo fisso verso il Sol dell’avvenire, legata al desk come l’Alfieri, onde evitare che la passione per Elly la divori.

 

 

 

«Scusa, ma non ti pare un pezzo un tantino eccessivo?», mi sveglia un collega della cultura «a noi se mettiamo un aggettivo in più sulla Meloni ci danno subito dei nazifascisti, servi del potere e qui siamo quasi al “Caro Leader” della Corea del Nord...». Il collega forse non ha torto. E accende il dibattito in redazione compulsando, in un velato sottinteso, Il lecchino saggio di Musil pubblicato dal Giornale; e cita gli adulatori letterari: dal rurale di Turgenev, al raffinato di Proust, distinguendoli dal caudatario volgare, privo di tecnica di base di Richard Stengel (Manuale del leccaculo - Teoria e storia di un’arte sottile, Fazi). Gli animi si rianimano dal torpore delle riunione. Un ulteriore collega si butta sull’esegesi del testo di Repubblica. Poi passa diligentemente il quotidiano al collega vicino che a sua volta lo fa girare attorno al tavolo, via via allungandolo a tutti gli astanti, di mano in mano, di lettura in lettura. Finché non mi arriva l’articolo per intero. «Leggi, leggi...». Io proseguo l’appassionata lettura. E subito mi si schiude il meraviglioso mondo di Elly.

 

 

 

«Elly cinge Matteo Renzi, sua antitesi politica, dopo un assist su un campo di calcio. Ammicca a Giuseppe Conte, che prima da lei teneva le distanze e ora non più. Si fa prendere in braccio dai gemelli di Avs Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni» recita il testo «e scusate se è blasfemo rievocare Enrico Berlinguer tra le braccia di Roberto Benigni, ma è anche dell’icona Berlinguer, spudoratamente contesa dalla destra meloniana, che Schlein adesso prova a riappropriarsi. Mentre sbarca su TikTok, autografa una Switch e pure una chitarra, poi si mette a strimpellare...». Perfino Berlinguer. Meraviglioso.

 

 

 

Elly è praticamente un mix tra Evita Peron, Lady Oscar e Lady Gaga al piano, nella penombra, quando cantava A Star is born. È nata una stella. Be’, dai, evidentemente è il collega che non capisce. Non avverte la dimensione onirica dell’insieme. Questo non è più giornalismo: è pura elegia, è arte figurativa. Il collega non percepisce la maestosità del racconto del nuovo Pd che ha finalmente trovato la sua guida biblica. Continuo, appassionato, la lettura del pezzo di Serenella, che è già diventata Serenissima.

«Schlein a dire il vero commentava Sanremo su Facebook già lo scorso febbraio, suonava la chitarra alla Festa dell’Unità e il pianoforte da Cattelan ben prima delle Europee. Ora però di quelle immagini compone la sua leadership, ne fa messaggio. Ecco il messaggio: abbraccio Renzi, colui in dissenso dal quale uscii dal Pd, perché non temo i suoi giochi. Ancora: scherzo con La Russa su un campo di calcio, perché si sa che sono antifascista». E ancora- un fuoco d’artificio- ecco il paragone con la Meloni: «La segretaria del Pd sfila, manifesta, lancia referendum e richieste di dimissioni, sempre rigorosamente in piazza. E invece Giorgia – un tempo fortunata protagonista del tormentone “Yo soy Giorgia” – si melonizza, perde la patina pop, lotta contro sé stessa per resistere alla tendenza a farsi istituzionale e prudente, reagisce con scelte al limite dell’autolesionismo a quella forza centripeta verso cui la spingerebbe la responsabilità di governo». La forza centripeta, mio Dio. I colleghi non capiscono.

 

 

 

Perché qua, la passione per la Giovanna d’Arco dem diventa ardore, impeto, missione. La prosa del pezzo è infiammata. Talmente infiammata che quasi quasi m’attizzo pure io: ma si, sì, è proprio vero: «All’improvviso Schlein diventa Elly, proprio mentre Giorgia diventa Meloni», qualunque cosa questo significhi (ma suona benissimo). S’attizza pure il dibattito, ed è tonante il clangore tra il sogno e la realtà.

Un altro collega, dantista, si butta sul tecnico, ed evoca l’attivismo dello zerbino nel Canto XVIII dell’Inferno («Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe ond'io non ebbi mai la lingua stucca»). Il pezzo su Repubblica chiude in una luce celestiale: «Schlein canta sul carro dell’ultimo Gay Pride a Roma. Ha duettato anche con Annalisa. Sul palco. Sopra da sinistra in senso orario: al Gay Pride stringe le mani al pubblico; con la chitarra a Genova chiede le dimissioni di Toti; Bonelli e Fratoianni la sollevano citando Benigni e Berlinguer». E dalli con Berlinguer. Sigilla il tutto un ultimo collega: «Ok, Schlein è una perbene, brava ad aver recuperato voti, credibilità e autonomia contro il M5S e i boiardi del Pd: ma davvero articoli del genere servono alla sua causa?». Elly, Elly, alalà...

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