Nuova vita

Massimo Carrera a Libero, dopo la Russia sogna l'Italia: "Voglio fare il Conte"

Giulio Bucchi

Massimo Carrera ha conquistato la Russia e ora, a 55 anni, è pronto a farsi conoscere anche in Italia. Collaboratore di Antonio Conte alla Juve e in Nazionale, l' ex difensore si racconta e si confessa: aneddoti, sogni e segreti di un mister emergente. Ma già vincente. Carrera, si è portato qualche ricordo dalla Russia? Qui in casa non si vedono Matrioske né quadri.  «Guardi là sul mobile: c' è una statuetta con la mia caricatura, me l' hanno regalata i tifosi dello Spartak. Sono fenomenali. Aspetti, le faccio vedere un video». Cosa è?  «Gli ultrà che allo stadio cantano ancora per me: "A tutti/avanti/Massimo Carrera"». Altre iniziative? Perché ride?   «Dopo una vittoria corro in campo ad abbracciare i giocatori e mi lascio andare pensando che non senta nessuno. Urlo: "Grandi, cazzo!". Le tv però mi riprendono e dopo una settimana la curva è piena di sciarpe con scritto "Grazie" in italiano e poi una parola in cirillico che non capisco...». ...e?  «Scopro che è l' equivalente di cazzo.». Ops. Dicevamo dei gadget russi. A parte la statuetta nient' altro?  «Solo i trofei vinti». Che non sono pochi: campionato, Supercoppa e titolo di miglior allenatore. Tutto in poco più di due anni: complimenti.  «È stata un' esperienza meravigliosa. Ma anche dura, con una lingua difficile e trasferte interminabili: una volta per giocare fuori casa ci siamo fatti 9 ore di aereo sopportando 7 ore di fuso orario». E il cibo?  «Per quello nessun problema: ho vissuto in hotel e al piano di sopra c' era il ristorante di Cracco...». Non male. Poi raccontiamo ancora qualche dettaglio, ma ora torniamo in Italia. Cosa fa?  «Mi riposo e godo la famiglia. E poi guardo il calcio da osservatore esterno, mi tengo aggiornato: un allenatore non può mai staccare completamente». A proposito, parliamo un po' del mister Carrera. In Italia non tutti la conoscono ancora benissimo: modulo preferito?  «In Russia di base giocavo con il 3-5-2, ma amo adattarmi alle caratteristiche della rosa a disposizione: con lo Spartak sono passato a un 4-2-3-1 per sfruttare meglio gli attaccanti». È un tecnico offensivo o difensivo?  «A me piace giocare a calcio, affidandomi a un football sempre propositivo». Da calciatore era un duro. In panchina?  «Esigo rispetto e i ruoli devono essere chiari. Con lo Spartak l' ho dimostrato». Come?  «Il capitano della squadra, Glushakov, sui social ha messo un like a una canzone che parlava male di me. Gli ho comunicato che era fuori rosa». Quindi condivide ciò che ha fatto Spalletti all' Inter con Icardi?  «Non conosco i dettagli, ma un tecnico non può mai perdere il controllo della squadra. L' importante, in questi casi, è avere l' appoggio del club». Lei l' aveva?  «No. Infatti dopo poco sono stato esonerato anche se eravamo terzi a un punto dalla seconda. E Glushakov è stato reintegrato». Carrera, lei da calciatore ha avuto pochi allenatori e tutti bravi. A Pescara Catuzzi.  «Fino a quel momento si giocava solo a uomo. Da lui ho imparato la zona». In quella squadra militava anche un certo Gian Piero Gasperini...  «Buon centrocampista, dava indicazioni a tutti. Mai, però, avrei immaginato di vederlo allenare così bene». Alla Juve ha incontrato Trapattoni.  «Un maestro di calcio e di vita. Grande passione e capacità di farti sentire a tuo agio, ci parlava in dialetto per farci ridere. Da lui ho preso la furbizia nel gestire il gruppo». Poi è arrivato Lippi.  «Un esempio di capacità tattica: cambiando modulo ci ha fatto vincere tutto». Mondonico all' Atalanta.  «Mister di umanità e schiettezza». Vavassori.  «Un duro. Un giorno entra negli spogliatoi e spiega, tranquillamente, che un giocatore in un' intervista lo ha accusato di aver sbagliato. Poi, all' improvviso, pum, dà un pugno alla bilancia in vetro di quelle alte. La spacca, si taglia il polso. E va avanti a urlare e gesticolare con il sangue che schizza ovunque». Al Napoli l' ha allenata Simoni.  «Come un padre, educato e gentile». Ma lei a quale di questi allenatori si sente più vicino?  «Ho preso qualcosa da ognuno, ma io mi ispiro soprattutto ad Antonio Conte: con lui ho lavorato cinque anni giorno dopo giorno, condividendo tutto. E non ero un suo giocatore, ma uno dello staff. Fa la differenza». Quale è il segreto dei suoi successi?  «La passione che mette: cura i dettagli più impensabili, conosce tutto degli avversari e sa farsi rispettare». Quindi se le dicono che lei è il nuovo Antonio Conte non la infastidiscono?  «È un grande complimento. Sogno di diventare come lui, magari alla Juve e in Nazionale». Massimo, torniamo indietro. Lei smette di giocare a 44 anni. Poi?  «Incontro casualmente Ciro Ferrara che mi propone di entrare nel settore giovanile della Juve. Accetto e divento il coordinatore del vivaio. Poi, quando in prima squadra arriva Conte, mi offrono di entrare nel suo gruppo di lavoro». A inizio stagione 2012-2013 Conte viene squalificato per il calcioscommesse. E lei lo sostituisce in panchina.  «Me lo comunica proprio Antonio, un giorno a sorpresa, e resto senza parole». Con Carrera alla guida, la Juve vince la Supercoppa italiana a Pechino contro il Napoli. E dopo dieci partite lei se ne va imbattuto: sette vittorie e tre pareggi. Poi, nel 2014, affianca Conte in Nazionale.  «Esperienza differente perché si ha più tempo libero, ma fantastica. Un gruppo compatto, come una famiglia vera. Abbiamo ridato entusiasmo alla maglia azzurra e riavvicinato i tifosi». Conte, nel 2016, firma per il Chelsea. Ma lei non lo segue. Perché questo sguardo triste?  «Una storia complicata, faccio fatica a parlarne». Le va di provare?  «Nel 2011, a Capodanno, sono coinvolto in un tamponamento a catena sulla A4, nel quale muoiono due ragazze, e vengo condannato per omicidio colposo. Una tragedia che mi ha segnato e mi ha cambiato la vita. Ci penso sempre». È per questa condanna, 5 anni dopo, che i dirigenti del Chelsea le dicono che non la possono assumere?  «Sì. Nel frattempo, però, Gianluca Riommi, preparatore dei portieri ad Arezzo ai tempi di Antonio, mi segnala che lo Spartak Mosca sta cercando un allenatore che affianchi Alenichev per curare la fase difensiva. Mi telefonano, accetto e mi trasferisco». Poi Alenichev si dimette e lei prende la squadra, portandola allo scudetto dopo 16 anni e vincendo la Supercoppa russa. Carrera, lei conosce bene il calcio estero: perché le italiane fanno così fatica nelle coppe?  «Questione di mentalità. Gli altri attaccano e osano di più, sono meno tattici. La più europea della serie A è l' Atalanta». Restiamo nel nostro campionato: chi l' ha delusa?  «La Roma aveva un grande allenatore come Di Francesco: avrebbe potuto fare di più». A proposito di mister, facciamo un giochino. Il suo amico Conte torna in Italia?  «Secondo me sì». Allegri resta alla Juve?  «Sì». Spalletti all' Inter?  «Se arriva in Champions». Gattuso al Milan?  «Come Spalletti». Ranieri alla Roma?  «Potrebbe essere confermato». Scusi Carrera, ma così non si libera nessun posto per lei. Curiosità: nel frattempo ha già ricevuto qualche offerta?  «Appena tornato dalla Russia mi ha contattato l' Udinese, ma poi non se ne è fatto nulla». Accetterebbe anche una squadra che si deve salvare?  «A me basta avere un progetto chiaro e serio. Se c' è quello, sono disposto a ripartire perfino dalla serie B». di Alessandro Dell'Orto