Il grande ex

Milan-Inter, la certezza di Donadoni: "Dove si decide tutto"

Leonardo Iannacci

Il gran giorno è arrivato e Roberto Donadoni osserverà il derbissimo di stasera con un occhio speciale e una punta di nostalgia per quello che è stato e non è più. Di serate simili ne ha vissute tante, in campo, e sa bene cosa si prova nelle ore che precedono duelli da Far-West di questo tenore.

Donadoni, come si frena la tensione che, alla vigilia, sale a mille? Pioli ha concesso ai giocatori un ritiro facoltativo, ha dato loro libertà. Inzaghi no.
«L’attesa si dovrebbe affrontare con freddezza ma è tutto soggettivo. Ricordo Gullit, dormiva 9-10 ore come un bambino piccolo. Altri miei compagni, invece, ribollivano».

E lei?
«Non sono mai stato un dormiglione ma ero sereno. Mangiavo bene, mi allenavo con scrupolo, leggevo».

A questo punto della stagione due squadre come Milan e Inter non hanno da inventarsi più di tanto, vero?
«Difatti è così. Le energie sono quelle rimaste nei muscoli dopo una stagione logorante ma il grande evento decuplica le forze rimaste. Più che fisico lo sforzo è mentale».

In questo chi è messo meglio?
«Non vedo l’Inter così favoritissima come dicono. Certo sta bene, molto bene, è fresca e ha una panchina profonda ma il Milan ammirato contro la Lazio è un rivale temibile».

Inzaghi ha recuperato un attacco atomico: 11 gol nelle ultime tre partite.
«Sicuramente la squadra gira bene e segna. Per Pioli, la parola va quindi alla difesa».

Lukaku, che dovrebbe partire dalla panchina, ha segnato in tutti e cinque i derby nei quale è stato titolare: è lui l’asso nella manica di Inzaghi?
«Viene da una stagione travagliata ma giocatori come il belga fiutano il momento e la curva giusta per il sorpasso e per cambiare la storia di un’annata».

In queste disfide l’importanza di un allenatore si evince tatticamente o sul piano motivazionale?
«A questo livello i giocatori sanno bene cosa fare all’80-90 per cento. Un tecnico deve responsabilizzarli e toccare le corde giuste. Come facevano Sacchi e Capello nel mio Milan».

La rosa di Inzaghi è più profonda: inciderà?
«Può essere un fattore ma i giocatori di Pioli sono ben collegati tra loro, si aiutano, formano una testuggine tosta che si muove con sintonia».

C’è da valutare un Milan con Leao e un Milan senza il portoghese, no?
«Innegabile che il portoghese rappresenti una pedina unica allo scacchiere di Pioli ma il Saelemaekers ammirato domenica scorsa è un’eccellente alternativa».

L’Inter scenderà in campo più serena se non vedrà Leao?
«Sarà psicologicamente rasserenata».

Nel 2003 furono euroderby dominati dalla tensione sfrenata e decisi da dettagli. Sarà così anche stavolta?
«Questa storia dei dettagli non la capisco. Una zolla che devia un pallone o lo stesso che balla sulla riga della porta e poi non entra sono fattori imponderabili. Un allenatore e un calciatore non possono dominarli, devono tuttavia creare i migliori presupposti per favorirli o evitarli».

Quindi la sfortuna esiste relativamente nel calcio?
«No, no. Esiste. Basta ricordare i dettagli che hanno favorito il Real Madrid del mio amico Carletto Ancelotti lo scorso anno, quando eliminò Paris Saint Germain, Liverpool e City con episodi favorevoli».

Noi pensiamo che la chiave tattica di stasera sia l’occupazione del centrocampo. Corretto?
«Sarà determinante il duello rusticano fra Barella e Tonali, i due leader neppure tanto occulti di Inter e Milan. Due centrocampisti totali seppur con caratteristiche tecniche diverse».

Per Donadoni non esistono favoriti, quindi?
«No. Pioli e Inzaghi hanno eguali possibilità di arrivare in finale».

Chi passa le forche caudine dei due euroderby può vincere la Champions?
«Calma, un passo per volta. Non dobbiamo dimenticare che dall’altra parte ci sono due eccellenze calcistiche e una, tra Real e City, arriverà in finale con il ruolo di favorito».

La finale di Istanbul certa è, comunque, un risultato notevole per il nostro calcio in piena depressione a livello di nazionale...
«Sono state fatte troppe chiacchiere sul calcio italiano finito sotto la tenda a ossigeno. Io guardo ai fatti e cinque squadre, pur imbottite di giocatori stranieri, finite nelle semifinali delle tre coppe europee sono risultati, non parole dette a vanvera».