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Berlusconi, Panebianco: "Non si doveva cacciare così. Italia vittima dei suoi istinti peggiori"

Silvio Berlusconi visto da Benny

Secondo l'editorialista di via Solferino i "bambini viziati" della politica non hanno "fair play". E ora ci attendono tempi bui

Giulio Bucchi
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Senza l'ombrello degli StatiUniti e la cappa protettiva dell'Unione Europea, in decadenza, "l'Italia si scopre più libera. Sì, ma di farsi del male". Il Corriere della Sera affida al suo editorialista Angelo Panebianco un'analisi che parte dai massimi sistemi per finire poi nel caso specifico, la decadenza di Silvio Berlusconi. E, un po' a sorpresa, il verdetto è a difesa del Cavaliere, all'insegna della realpolitik. "Solo una combinazione di mancanza di senso storico e di miopia politica, di incapacità di guardare al di là del proprio naso può fare pensare che non avrà effetti di lungo termine sulla democrazia italiana il fatto che un leader che ha rappresentato e rappresenta milioni di elettori sia stato messo fuori gioco per via giudiziaria anziché politica". La decadenza del Cav, annotta il professore, è un fatto che "segnerà il nostro futuro, scaverà nelle coscienze, alimenterà rancori che si perpetueranno nel tempo". Eliminato in modo cruento e spettacolare il grande nemico, dunque, non ci aspetta una lunga pacificazione bensì una guerra, ancora più livorosa. Una volta arrivata la sentenza della Cassazione, ammonisce Panebianco, "serviva fair play politico", ma ai "bambini viziati" che siedono in Parlamento e nelle sale di comando di partiti e giornali quel fair play è mancato. La visione dell'editorialista è apocalittica. Serve una riforma profonda, una rivoluzione, ma ad oggi non si vedono né grandi leader né una classe emergente (siamo troppo vecchi, è il sunto) in grado di portarla avanti. Allo stesso modo, è "impossibile escludere turbolenze e contraccolpi violenti", con tutti gli ordini sociali "sempre sotto la minaccia della disgregazione". L'immagine è quella di un Paese non in grado di fare le riforme, di cambiare, di passare dagli annunci ai fatti, nemmeno quando "è chiaro che questo immobilismo ci porta alla rovina". Alla luce di tutte queste considerazioni, l'auspicio finale di Panebianco ("E' arrivato il tempo di dimostrare che anche senza catene possiamo resistere alle sirene, ai nostri peggiori istinti") assume però i contorni inquietanti di un periodo ipotetico. Dell'irrealtà.

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